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INDICE DEL N. 3


R I F L E S S I O N I
anno II, n. 3, gennaio-febbraio 2010

Emanuele Gagliardi


Cina comunista: sessant’anni di sangue

1. 1° ottobre 2009.

La Cina ha celebrato sessant’anni di regime comunista con la parata più imponente della sua storia, dinanzi alla Porta della Pace Celeste (Tien Anmen) dove nel 1949 Mao Zedong (1893-1976) aveva proclamato la Repubblica Popolare Cinese (Chung-hua Jen-min Kung-ho Kuo) e dove, quarant’anni dopo, sono state stroncate nel sangue le manifestazioni degli studenti che chiedevano democrazia.

"Abbiamo trionfato su ogni genere di difficoltà, fallimento e rischio — ha scandito il leader Hu Jintao — […] solo il socialismo può salvare la Cina e solo la riforma e l’apertura possono garantire lo sviluppo del Paese", e ha chiesto ai cinesi di costruire "un Paese ricco, forte, democratico, civilizzato, armonioso e socialista moderno"1.

I politologi notano che il regime ha voluto esibire potenza militare e che, per la prima volta, sono state mostrate armi interamente fabbricate in patria.

Dopo i militari, uno spettacolo di carri allegorici, balli, arti marziali e varie espressioni della cultura nazionale. Il "Regno di Mezzo" sfoggia stabilità e vuol mostrare di essersi piazzato a buon diritto al terzo posto nell’economia mondiale e fra i protagonisti della politica internazionale. Spenti i riflettori, resta la Cina del divario fra nuovi ricchi ed eterni poveri, della corruzione, dell’inquinamento, delle minoranze etniche vessate, dei diritti umani violati, delle opposizioni annientate.

Una scia di sangue lunga sessant’anni che ripercorro nelle tappe più inquietanti.

2. La Riforma agraria e i "Cento Fiori".

Preso il potere, il Partito Comunista Cinese (Pcc) deve fronteggiare la grave instabilità sociale. Per la questione agricola con legge 30 giugno 1950 viene varata la riforma agraria — che sancisce, anzitutto, la "confisca senza compensazione di tutti i latifondi incolti e la ridistribuzione gratuita ai contadini poveri e ai possessori di mera capacità lavorativa rurale"2 — i cui scopi sono, però, in primis politici. Si parte dalle campagne perché sono l’elemento chiave della struttura socio-economica cinese e della parafrasi maoista del marxismo. Si moltiplicano le "riunioni di amarezza", in cui proprietari e contadini ricchi vengono accusati, umiliati dalle masse coordinate dai quadri comunisti, condannati, spesso a morte, sulla base di accuse vaghe in cui rientrano non di rado questioni private, e giustiziati hic et nunc con la partecipazione più o meno attiva delle "masse" stesse. Così il Partito lega a sé i contadini con un "vincolo di sangue"3. Le "Campagne di Rettifica" (Cheng Feng) raggiungono poi le città attraverso una dinamica di "movimenti di massa" volti a sottomettere le categorie che possano ostacolare il progetto totalitario4. Nel luglio del 1950 si apre la campagna per "l’eliminazione degli elementi controrivoluzionari"; nel 1951 si hanno i movimenti dei "tre contro" (San Fan; Contro la corruzione, contro gli sprechi, contro il burocratismo dei quadri del Partito e dello Stato), dei "cinque contro" (Wu Fan; contro le tangenti, la frode, l’evasione fiscale, la prevaricazione e la divulgazione di segreti di Stato)5 e di "Riforma del pensiero", contro gli intellettuali occidentalizzati ai quali vengono imposti, fra l’altro, periodici corsi di "rieducazione" con obbligo di dimostrare i progressi compiuti dinanzi al proprio "collettivo di lavoro".

Il concetto di "controrivoluzionario" è tanto vago che ogni posizione appena divergente dalla linea del Pcc può comportare una condanna. Vengono legalizzati la retroattività della pena e il giudizio per analogia, cioè la condanna dell’imputato che ha commesso un atto non specificamente punito da una legge sulla scorta del trattamento riservato al reato più affine. Nelle città viene esteso il sistema del controllo reciproco (Bao jia), ossia della delazione. Obbligatori il certificato di residenza urbana e la registrazione delle visite di estranei. Spuntano migliaia di cassette per le denunce anonime. Sotto tiro i residenti stranieri: dal 1950 vengono arrestate quasi quattordicimila "spie", soprattutto religiosi. Fra il 1950 e il 1955 i missionari cattolici scendono da 5.500 a una decina6. Poi è la volta degli ex appartenenti al Kuomintang7: amnistiati nel 1949 per evitare fughe verso l’isola di Taiwan e l’allora colonia britannica di Hong Kong, ora vengono decimati. Nel 1955 si scatena la Cheng Feng per la "eliminazione dei controrivoluzionari nascosti" (Su Fan), che colpisce di nuovo gli intellettuali, stavolta pure quelli appartenenti al Pcc che mostrano un po’ di indipendenza.

Il bilancio di questa prima ondata di violenza comunista è incerto: dati ufficiali, a cui dovrebbero essere aggiunti i decessi nei campi di rieducazione e i suicidi, stimano sia costata fra i 2 milioni e 400mila e i 5 milioni di morti8.

Il 25 febbraio 1956, al termine del XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (Pcus), Nikita Krusciov (1894-1971) legge un rapporto sui crimini di Josip Stalin (1878-1953)9. La requisitoria di Krusciov fa il giro del mondo. Mao ne vieta la lettura anche ai membri del Comitato Centrale del Pcc: teme che le rivelazioni possano screditare anche lui che ha cercato sempre, almeno in apparenza, il consenso del compagno sovietico.

Lo stesso anno, sulla scia della "destalinizzazione", Mao avvia la campagna dei Cento Fiori dall’antico slogan "Che cento fiori sboccino, che cento scuole gareggino"10 — , che assumerà proporzioni inattese e sarà trasformata in una delle purghe più spietate. Artisti, scrittori, studenti e oppositori del regime, escono allo scoperto. Si parla degli abusi e degli errori del Pcc, si critica la gestione economica, si denunciano l’assenza di libertà di opinione e di una legislazione civile e penale, gli abusi della classe dirigente. Neanche Mao viene risparmiato. Innescata dal Partito, la campagna smaschera i suoi errori: settarismo, burocratismo, soggettivismo. Nella primavera del 1957 le recriminazioni investono ogni ambiente. Nelle amministrazioni, nei giornali, sui ta tse pao — i giornali murali che diverranno celebri in Occidente nel 1968 —, si succedono gli appelli. Le università sono in fermento. La reazione del potere non tarda: il 25 maggio Mao stigmatizza qualsiasi allontanamento dal socialismo; l’8 giugno l’archeologo e storico Kuo Mojo (1892-1978) se la prende con i "fiori velenosi" da recidere, e li contrappone ai "fiori profumati" del socialismo. Il contrattacco contro il "deviazionismo di destra" intima ai contestatori di abiurare e perfino di umiliarsi a chiedere la giusta punizione. Centinaia di migliaia di comunisti e non comunisti vengono inviati nelle campagne a "rieducarsi". Centomila persone vengono arrestate e viene lanciata una campagna di "rettifica" che rafforza l’autorità del Partito, al cui interno gli intransigenti riprendono le redini imponendo all’arte e la letteratura di ripartire su basi "risanate". Così il Pcc fagocita anche il panorama culturale. Si consolida la società maoista, che resterà immutata fino alle prime riforme di Deng Xiaoping (1904-1997), alla fine degli anni 1970. "Non dimenticare la lotta di classe", recita una nota locuzione di Mao: da ora tutto si basa sull’etichettatura degli individui secondo una suddivisione gravida di conseguenze in "categorie rosse" — contadini poveri e medio-poveri, operai, quadri del Pcc, militari dell’Esercito Popolare, "martiri rivoluzionari" — e "categorie nere" — proprietari terrieri, contadini ricchi, controrivoluzionari, elementi di destra e "cattivi elementi" —, fra cui c’è il "limbo" delle "categorie neutre" — intellettuali, capitalisti, ecc. — sempre esposte al rischio di scivolare nel novero di quelle "nere". La logica perversa di tale classificazione — più che suddivisione marxista, una divisione in caste all’indiana — è terrificante: occorre un nemico da combattere, periodicamente rinnovato "o tramite ampliamento delle caratteristiche incriminanti o tramite declassamento"11.

3. La "questione" tibetana.

Un milione di morti solo nel ventennio 1959-1979, seimila santuari distrutti, un incalcolabile patrimonio culturale dato alle fiamme, preghiera e devozione vietati per legge, monaci internati nei campi di lavoro.

Il 7 ottobre 1950 la Cina aggredisce il Tibet e impone al Paese un’appartenenza geopolitica e una ideologia a esso del tutto estranee12. Il 23 maggio 1951 Pechino e Lhasa firmano l’"Accordo sulle misure per la pacifica liberazione del Tibet". La Cina può stabilire basi militari in Tibet e gestirne la politica estera in cambio dell’impegno a non alterare il sistema politico vigente, a rispettare l’autonomia tibetana e a garantire protezione alla religione e ai monasteri. L’esercito tibetano viene incorporato in quello cinese e il governo centrale assume pure il controllo delle finanze, dell’istruzione e dello sviluppo economico e industriale del "Paese delle Nevi"13.

La pressione fiscale, gli attacchi alla struttura sociale e alla religione, la politica dell’istruzione basata su scuole laiche, le pene severissime contro quanti non accettano la nuova realtà, determinano però un rapido deterioramento dei rapporti che sfocia in guerriglia aperta nel Tibet orientale (1956). I cinesi distruggono molti villaggi e i monasteri di Changtreng, Litang e Batang, sollevando la resistenza anche nelle zone del Ching-hai e del Sikang.

Una crisi irreversibile scoppia nel 1959. A febbraio i khampa14 attaccano avamposti cinesi sulla frontiera cino-tibetana a meno di ottanta chilometri da Lhasa. Le pressioni della Tien Anmen per convincere il Dalai Lama a scagliare le proprie truppe contro di loro non hanno seguito e ciò porta alla rottura15.

Durante la prima settimana di marzo, inoltre, il generale Tan Kuansan, commissario politico dell’armata cinese in Tibet, scrive una lettera "[…] recapitata con calcolata indifferenza" direttamente al Dalai Lama, invitato "a presentarsi senza scorta al Quartier generale cinese […]". La religione e il cerimoniale tibetano prevedono "[…] che il Buddha Vivente non possa muoversi in pubblico senza il suo seguito di abati anziani e di cortigiani": l’ordine suona quindi come un sacrilegio e alimenta il sospetto che i cinesi intendano rapire il Dalai Lama. Il 10 marzo la notizia si diffonde a Lhasa e una folla di circa trentamila persone circonda Norbulingka chiedendo a Sua Santità di non esporsi al rischio16. Il 17 marzo due bombe cinesi esplodono nella zona di Norbulingka. Il Dalai Lama fugge verso l’India.

I cinesi scoprono la fuga il 19 marzo. Nel frattempo esplodono le ostilità: a Lhasa e in altre zone i tibetani distruggono ponti, bloccano strade, appiccano il fuoco a costruzioni cinesi e circondano unità dell’esercito rosso. I membri del Kashag (Parlamento tibetano) denunciano pubblicamente il trattato del 23 maggio 1951 che Pechino ha violato. Il governo tibetano chiede il ritiro delle truppe di occupazione e, in ragione delle violazioni, si considera indipendente.

Le truppe cinesi soffocano la rivolta in tre giorni. Oltre duemila morti fra i tibetani, quindicimila deportati da Lhasa e crudeli vendette contro i fedeli al governo, molti dei quali vengono eliminati sommariamente.

I rapporti della Cina con l’India, ove il Dalai Lama si è rifugiato, mutano e si deterioreranno fino all’aperto conflitto, nel 1962, per l’annosa controversia delle regioni di frontiera17.

Il 9 settembre 1965 viene proclamata la "Regione autonoma del Tibet".

Dopo mezzo secolo, Pechino continua a sostenere che il dialogo con il Dalai Lama sarà possibile solo se egli abbandonerà la sua "posizione separatista" riconoscendo che il Tibet è parte integrante della Cina.

Centinaia di morti si hanno durante le rivolte cominciate il 10 marzo 2008, quarantanovesimo anniversario dell’insurrezione di Lhasa18. Il Dalai Lama denuncia un "genocidio culturale", ma non chiude al dialogo. Il leader buddista, premio Nobel per la Pace 1989, pesa le parole per non dare alla Tien Anmen il pretesto per un massacro in nome di presunte attività insurrezionali: non inneggia alla secessione: si limita a rivendicare autonomia. Infruttuosi sono i negoziati fra le parti, fra il maggio e il novembre del 2008. È probabile che Pechino abbia accettato di intavolarli solo per placare il biasimo internazionale in vista delle Olimpiadi di agosto19.

Un anno dopo il Dalai Lama accusa ancora la Cina di aver portato "l’inferno sulla terra" in Tibet e di aver causato la morte di "centinaia di migliaia" di compatrioti. In previsione della ricorrenza, la polizia cinese aveva sequestrato centonove monaci da sottoporre a "rieducazione". Il presidente Hu Jintao evoca la costruzione di una "Grande Muraglia" contro il separatismo, mentre il premier Wen Jiabao, ripetendo una velina vecchia di cinquant’anni, assicura che i "progressi" compiuti dal Tibet, dove la situazione è "pacifica e stabile", dimostrano che la politica cinese è "giusta"20.

I tibetani continuano la lotta sperando ingenuamente nel sostegno dell’Occidente, prodigo di dichiarazioni ma niente affatto disposto a perdere un’enorme riserva di beni e mano d’opera a basso costo per un pugno di monaci torturati. Tant’è che nell’ottobre del 2009, per non urtare Pechino, gli Stati Uniti hanno rimandato l’incontro fra il Dalai Lama in visita a Washington e il presidente Barack Hussein Obama a dopo il vertice con il leader Hu Jintao, che Obama aveva in agenda per novembre21. La decisione — presa soltanto quattro giorni prima che Obama fosse insignito del Premio Nobel per la pace, che molti osservatori ritenevano già appannaggio degli attivisti cinesi per i diritti umani — rientra nel disegno volto a migliorare le relazioni con la Cina anche abbassando i toni della polemica sui diritti umani e sulla politica finanziaria22.

Fra il 1957 e il 1958 il regime ha perso il controllo della campagna dei Cento Fiori. S’impone una nuova azione che tenga il popolo "occupato". L’VIII Congresso Generale dei sindacati cinesi (1957) indica una meta: raggiungere, e magari superare, la produzione d’acciaio della Gran Bretagna entro quindici anni.

4. Dal "Grande balzo in avanti" alla grande fame

Nella seconda sessione dell’VIII Congresso del Pcc (5-23 maggio 1958), viene lanciata la politica del "Grande Balzo in Avanti" (Ta yüeh chih), per accelerare la costruzione del socialismo abbreviando la transizione. L’estremismo prevale sul gradualismo. Per l’agricoltura, in stato di arretratezza, il 29 agosto 1958 nascono le "Comuni popolari" (Jen-min kung-shih). Formeranno il nuovo tessuto della società tramite l’organizzazione parallela delle strutture economiche (industria e agricoltura), amministrative e sociali (scuola, sanità, servizi). Saranno il ponte per realizzare il socialismo e passare al comunismo finale, nonché una sfida di originalità a Mosca e al blocco marxista-leninista23. Krusciov, parlando con il senatore americano Hubert Humphrey (1911-1978) nel dicembre del 1958 esprime un giudizio negativo sulle comuni sottolineando che non esistono prestazioni senza un allettamento materiale. Mao è persuaso che il Segretario del Pcus non sia l’uomo adatto a guidare il movimento comunista mondiale, indipendentemente dalle polemiche seguite alla denuncia dei crimini staliniani e all’abiura dei canoni leninisti sull’ineluttabilità della guerra quale occasione per la rivoluzione e sul carattere violento della rivoluzione stessa24.

Alla fine del 1958 le comuni sono ventiseimila, ma l’intera Cina sta per precipitare in una catastrofica carestia. L’inedia e i soprusi del Partito genereranno un’involuzione degli individui sino all’hobbesiano "homo homini lupus"25. Difficile stabilire se il disastro sia da attribuire al progetto in sé o alle deviazioni nell’attuazione. Risaltano, comunque, l’incompetenza economica, la scarsa conoscenza del Paese, l’utopismo e l’arroganza della direzione del Pcc e del suo capo.

Dopo il primo anno del "Grande Balzo" se ne potrebbero arrestare gli effetti, se qualcuno osasse opporsi a Mao. L’unico a farlo è il ministro della Difesa Peng Teh-huai (1898-1974). Mao reagisce tacciandolo di "deviazionismo di destra". Nessuno, salvo pochi sostenitori finiti male, prende le difese del maresciallo Peng che sarà costretto a scrivere un’umiliante autocritica e verrà posto agli arresti in un villaggio, a coltivare ortaggi. Durante la Rivoluzione culturale sarà incarcerato, torturato e ucciso.

Nel 1960 Mao pretende un altro "balzo in avanti". Gli sforzi della popolazione si rivelano ancor più inutili, ma ormai Mao è incapace di ammettere anche con se stesso quanto sta accadendo. Dopo aver falcidiato le campagne, la fame raggiunge le città. La produzione di frumento precipita, ma il "Timoniere" si rifiuta di bloccarne l’esportazione e di importarne dall’estero. I dirigenti del Pcc a tutti i livelli sono consci che il prossimo sarà un inverno di morte, ma nessuno s’azzarda a dirlo a Mao.

Aspetto peculiare della carestia del 1958-1962 è che, per oltre vent’anni, non si è avuto certezza che fosse realmente accaduta. Solo a metà degli anni 1980, alcuni studiosi americani riescono ad esaminare le statistiche rese note nel 1979. La conclusione è sconcertante: trenta milioni di morti.

5. Rivoluzione "culturale"

Lentamente la Cina si riprende dalla carestia, isolata sul piano internazionale dalla diatriba ideologica con Mosca e dalla questione dei confini con l’India. Messo in crisi dal disastro del "Grande Balzo", dal 1962 Mao Zedong ha ceduto di fatto la direzione al presidente della Repubblica Liu Shaoqhi (1898-1969), ma adesso cerca di nuovo tramiti per imporre le proprie scelte: il Partito, in mano a Liu e al segretario Deng Xiaoping, deve essere aggirato.

Mao ha perso il favore di molti quadri e intellettuali con le "purghe" del 1957 e quello delle masse con la carestia. Si appoggia perciò all’Esercito Popolare di Liberazione (Epl), dal 1959 guidato da Lin Piao (1907-1971), che ha sostituito al ministero della Difesa l’epurato Peng Teh-huai. Nel maggio del 1964 esce la prima edizione del Libretto Rosso, una silloge del pensiero di Mao compilata da Lin Piao. Il "Timoniere" rende progressivamente l’Epl un centro di potere alternativo con un importante ruolo nel Movimento per l’Educazione Socialista, una sorta di purga surrettizia contro "elementi di destra", che esalta puritanesimo, disciplina e spirito di sacrificio26. La formazione militare diviene obbligatoria. Dal 1964 l’Epl organizza milizie armate nelle fabbriche, nei quartieri e nei distretti rurali. Accanto all’esercito, Mao fa leva sugli studenti delle scuole superiori e delle università: saranno le famigerate Guardie Rosse (Hong Wei Ping).

Pretesto per l’esplosione della Rivoluzione culturale è la critica al lavoro teatrale di Wu Han La destituzione di Hai Jui che, sotto spoglie letterarie, ripropone l’affaire Peng Teh-huai. L’esame del caso è affidato al sindaco di Pechino Peng Chen (1902-1997), presidente del "Gruppo dei Cinque" incaricato della Rivoluzione culturale27. Nel febbraio 1966 Peng Chen presenta una relazione sulla commedia in cui esclude finalità politiche. La conclusione non piace a Mao28. Il 16 maggio si riunisce il comitato centrale del Pcc che approva una circolare di denuncia contro Peng Chen. Il "Gruppo dei Cinque" è sciolto e rimpiazzato. Si apre la lotta per "[…] sgominare il quartier generale borghese di Liu Shao-chi"29.

Gli aspetti repressivi del movimento si possono suddividere in tre fasi: 1966-1967, violenze contro intellettuali e quadri politici; 1967-1968, scontri tra fazioni di Guardie Rosse; 1968, brutale ripresa del controllo da parte dei militari.

Con il IX Congresso del Pcc (1969) si aprirà la "istituzionalizzazione" (poi mancata) della Rivoluzione culturale e la lotta di palazzo in vista del dopo-Mao.

Le persecuzioni perpetrate dalle Guardie Rosse restano emblema della Rivoluzione culturale, il cui aspetto essenziale è proprio il regolamento di conti al vertice, mascherato da movimento popolare. La prima vittima è Liu Shaoqi. Obbligato all’autocritica, imprigionato e torturato, muore nel 1969. Altri bersagli il ministro degli Esteri Chen Yi (1901-1972), "ruralizzato" nel 1969, che muore tre anni dopo per maltrattamenti; Peng Teh-huai, bastonato fino alla rottura della colonna vertebrale; il ministro della Sicurezza Lo Jui-ching, lasciato per tre anni con un piede rotto dopo le violenze subite e trascinato di villaggio in villaggio a scopo dimostrativo; il segretario del Pcc Deng Xsiaoping e tanti altri. Milioni di studenti si organizzano e individuano nei professori e nelle autorità che li difendono gli "spiriti di rettili" cui dare la caccia. Si suicidano o vengono ammazzati oltre 140.000 docenti, quasi 54.000 tecnici e scienziati e oltre 2.500 intellettuali e artisti. Il 60% dei membri del comitato centrale del Pcc, tre quarti dei segretari provinciali e circa quattro milioni di quadri vengono espulsi. Risuona all’infinito lo slogan coniato da Mao "Ribellarsi è giusto!". Tornano anti-intellettualismo, impregnato di fanatismo e di sadismo, e xenofobia30. Durante la campagna contro le "Quattro cose vecchie" ("Vecchie idee, vecchia cultura, vecchi costumi, vecchie abitudini") vengono distrutti templi, bruciati testi classici, scene e costumi dell’Opera di Pechino, sostituiti dalle "opere rivoluzionarie a tema contemporaneo" di Jang Qing (1914-1991), ultima moglie di Mao. Si replica il copione dei primi anni 1950 con le "riunioni di lotta" che degenerano in pubblici spettacoli di tortura.

All’inizio del 1967 la produzione industriale crolla, l’amministrazione è all’anarchia. I dirigenti maoisti devono scegliere: promuovere una nuova struttura di potere, i "comitati rivoluzionari" fondati sul principio "tre in uno" — alleanza fra ribelli, vecchi quadri ed Epl — o congedare le Guardie Rosse usando, se necessario, l’altro braccio armato di Mao, l’esercito. Nell’anno si alternano ritorno all’ordine e impennate estremiste in modo tale che ogni parte ha modo di consumare sanguinose vendette. Nel 1968 si sciolgono le Guardie Rosse — oltre cinque milioni di giovani vengono "ruralizzati" a forza — e si verificano i più ingenti massacri: lo Stato riacquista il monopolio della violenza legittima.

La Cina del 1969 è stanca di violenze, campagne, slogan. Dilagano disimpegno, ripiegamento sulla sfera privata, cinismo, criminalità, palesando le contraddizioni e il fallimento della Rivoluzione culturale che è stata essa stessa una vistosa contraddizione. In primis perché non fu un movimento di massa dal basso verso l’alto, come il regime avrebbe voluto far credere, ma è stata voluta da Mao e dai gruppi radicali bramosi di potere, ed è stata un movimento parziale, limitato alle aree urbane ed egemonico solo fra i giovani scolarizzati, perché così avevano deciso Mao e il "Gruppo" incaricato, stabilendo di lasciar fuori la ricerca scientifica — concentrata sugli armamenti atomici31 —, l’esercito — alleato di Mao e sempre all’erta per le questioni di frontiera con l’Unione Sovietica — e i contadini, che si stavano riprendendo dallo choc della carestia.

Il conteggio delle vittime conferma l’indifferenza di Mao e dei suoi seguaci verso la vita umana: 725.000 morti, secondo le fonti ufficiali cinesi, ma gli studiosi occidentali propendono, tenuto conto delle vittime della successiva repressione perite nei campi di lavoro forzato, i Laogai, per una stima che si aggira tra i due e i tre milioni32.

6. Complotto e morte di Lin Piao

Lin Piao è la star del IX Congresso del Pcc da cui scaturisce il nuovo statuto del Partito e che lo incorona vicepresidente e "successore di Mao Zedong". Egli recupera il pensiero del "Timoniere" quale guida ideologica ed esalta la Rivoluzione culturale come grande vittoria di tutto il popolo. Gli "elementi di destra" all’interno del Partito sono stati eliminati, molti uccisi: eppure Mao non è sereno. Mostra insofferenza verso il delfino Lin Piao e il gruppo dei "radicali di Shanghai" capeggiato da sua moglie e da Zhang Chunqiao (1917-2005).

Il presidente americano Richard Nixon (1913-1994) invia segnali positivi alla Cina popolare tramite il presidente pakistano Yahya Khan (1917-1980) e il segretario del Partito Comunista romeno Nicolae CeauŞescu (1918-1989). Anche Papa Paolo VI (1897; 1963-1978), fra il 1965 e il 1967, esorta, sia pur indirettamente, i membri delle Nazioni Unite (Onu) ad ammettere la Cina rossa nell’Assemblea e invita i leader di Pechino al dialogo33. I tempi sembrano maturi per una svolta. Nel marzo del 1969 c’erano stati scontri armati fra Cina e Urss lungo le frontiere dell’Heilongchiang34. Con i tank sovietici alle porte, tendere una mano agli Usa può essere utile, e Washington può avere tutto l’interesse a impedire una egemonia sovietica in Asia. È l’epoca della "diplomazia del ping-pong". Formalmente niente più di un invito agli sportivi americani a recarsi in Cina per qualche partita di tennis da tavolo ma, in effetti, una novità strepitosa. Nella primavera del 1971, il primo ministro Zhiu Enlai (1898-1976) accoglie i giocatori statunitensi affermando che la loro visita apriva una nuova pagina nelle relazioni tra i due popoli e che la Cina era interessata a intrattenere relazioni amichevoli anche con i Paesi che non la riconoscevano. Il 15 luglio Usa e Cina annunciano che Nixon si recherà a Pechino entro il maggio del 1972.

Tesa la mano all’Occidente, Mao non ha più bisogno di Lin Piao che, nel frattempo, non ha saputo resistere alla tentazione di rovesciare il "Timoniere" e prenderne il posto35. Fra il 22 e il 24 marzo 1971 Lin e i suoi agenti, fra cui la moglie Yeh Chun e il figlio Lin Likuo, hanno concepito il "Progetto 571"36: Mao dovrà morire durante il viaggio nella Cina meridionale che compirà in settembre. I cospiratori, sicuri che Mao si sarebbe servito del suo aereo personale, si erano proposti di eliminarlo all’aeroporto di Shanghai l’11 settembre. Invece il "Timoniere" lascia Shanghai in treno. Allora organizzano frettolosamente un attacco al convoglio presidenziale, ma all’ultimo momento un ufficiale si rifiuta di eseguire gli ordini e il progetto fallisce.

Resta il piano d’emergenza: il 13 settembre Lin Piao volerà a Canton per eleggere un comitato centrale antagonista. Stavolta è la figlia Lin Liheng a mandare tutto all’aria: avverte l’unità dell’aviazione in cui presta servizio e rivela i sospetti sulle intenzioni del padre. La sera del 12, Zhou Enlai scopre che all’aeroporto Shanhaikuan (a nord-est di Pechino) c’è il Trident 256 predisposto da Lin per recarsi a Canton. Il premier ordina la cancellazione di tutti i voli e lo stato di allerta. Lin capisce che è finita. Alle 2 e 30 del mattino successivo si precipita con moglie, figlio e fedelissimi a bordo del Trident, che decolla alla volta dell’Urss. Due ore dopo il velivolo si schianta in Mongolia. Versione ufficiale: carburante insufficiente. Poi si saprà che l’aereo è stato abbattuto per ordine di Mao e di Zhou Enlai.

Il 25 ottobre 1971 la Repubblica Popolare Cinese è ammessa all’Onu, un mese dopo entra a far parte del Consiglio di Sicurezza al posto della Repubblica di Cina di Taiwan. Il 21 febbraio 1972 Nixon giunge a Pechino. I rapporti fra Cina e Stati Uniti torneranno "normali" soltanto nel 1979, tre anni dopo la morte di Mao, ma l’incontro con Nixon resta un evento cruciale nella storia della Cina rossa.

7. Il dopo-Mao

L’8 gennaio 1976 muore Zhou Enlai. Dopo le barbarie commesse in nome del "Mao-pensiero" durante la Rivoluzione culturale e l’affaire Lin Piao, il vecchio "Timoniere" resta ancora un punto di riferimento ideologico, ma la Cina sa che deve a Zhou Enlai il riconoscimento quale potenza moderna nello scenario politico mondiale. Il 5 aprile, giorno dei morti, migliaia di persone vogliono rendere omaggio allo scomparso premier e si verificano violenti scontri in piazza Tien Anmen di Pechino. Poco dopo viene lanciata la "Campagna radicale contro il vento di destra", il cui principale bersaglio è, ancora una volta, Deng Xiaoping. Il 7 aprile Radio Pechino annuncia che Deng è stato destituito da tutte le sue funzioni. Alla carica di primo ministro Mao nomina Hua Guofeng (1921-2008), già ministro della Pubblica Sicurezza.

Il 9 settembre 1976 muore Mao Zedong.

Neanche un mese dopo, il 7 ottobre, la cosiddetta "Banda dei Quattro" — il gruppo di sinistra radicale composto dalla vedova di Mao, Zhang Chunqiao, Wang Hongwen (1935-1992) e Yao Wenyuan (1931-2005), che ha ispirato la Rivoluzione culturale e ora mira alla successione — viene eliminata dalla scena politica e accusata di complotto contro il Partito e contro lo Stato37.

Con la morte di Mao e il processo ai "Quattro" si conclude definitivamente la Rivoluzione culturale intesa quale scontro fra due modelli sviluppo — industriale, sul modello sovietico, o agricolo, come auspicato da Mao — e fra due linee ideologiche — la riflessione e la modernizzazione o la rivoluzione permanente, cara a Mao. Anche Hua Guofeng sarà presto messo da parte e la guida della Cina sarà, risorto dalle proprie ceneri come la fenice, Deng Xiaoping. Il progetto di Deng è garantire stabilità e unità, dopo decenni di precarietà, e realizzare a breve le "Quattro modernizzazioni": agricoltura, industria, difesa, scienza e tecnica, a suo tempo teorizzate da Zhou Enlai38.

Sullo scorcio del 1978, a Pechino, su un muro ad ovest della Chung Nanhai, ove sorgono gli uffici del Pcc e del governo, appare un manifesto... È il primo di tanti che contrassegneranno il movimento del "Muro della democrazia". Il ta tse pao chiama in causa direttamente Mao per i disastri della Rivoluzione culturale e, stranamente, non viene rimosso. In breve le voci si levano più forti: il popolo chiede una trasformazione democratica dell’ordine politico. Deng Xiaoping tollera, pare addirittura stimolare la critica, tacendo ed evitando repressioni. Ha fretta di consegnare agli archivi gli slogan maoisti: alla lotta di classe deve sostituirsi la lotta per la produzione. Tra i nuovi impegni: "eliminare l’egualitarismo", distinguere fra Partito e Stato, superare il concetto dello Stato quale unico manager delle imprese, decentrare l’economia e la burocrazia, legittimare il profitto personale nell’economia agricola.

Non va dimenticato però che Deng, benché almeno per ora non ricorra ai Laogai e al plotone d’esecuzione con la stessa facilità di Mao, è comunque un leader comunista per il quale il Partito è intoccabile e per cui ogni processo di riforma deve necessariamente svilupparsi nell’ambito dell’autorità e dell’ideologia del Partito medesimo. Così il movimento del "Muro della Democrazia" andrà avanti fino quando denuncerà gli errori di Mao, gli abusi di Zhang Chunqiao e dei "radicali", il tradimento di Lin Piao e della sua "cricca antipartito", ma quando la Cina comincerà ad accendersi di manifestazioni di delusi, soprattutto giovani, che reclamano diritti civili e si appellano persino al presidente americano Jimmy Carter, quando la critica non sarà più diretta solo contro i "radicali" ma contro l’intero sistema, contro Mao ma pure contro il Partito e contro il potere comunista tout court, Deng Xiaoping invertirà la rotta. Nel marzo del 1979 condanna gli eccessi del "Muro della Democrazia", ribadisce l’inattaccabilità del Pcc e riafferma l’autorità del potere comunista sintetizzata in "quattro principi fondamentali": 1) proseguire sulla strada del socialismo; 2) sostenere la dittatura del proletariato; 3) sostenere la guida del Pcc; e 4) sostenere la guida del marxismo-leninismo e del pensiero di Mao. Quest’ultimo, però, considerato non più come diretta emanazione del "Timoniere" ma come opera dell’intero gruppo artefice della rivoluzione.

Mentre imbavaglia il "Muro della Democrazia", il regime fa un altro timido passo verso la normalità: il 1º luglio 1979 la Cina ha finalmente un codice penale, un codice di procedura penale e varie altre normative giudiziarie. Mao si era sempre opposto ad una codificazione sistematica in nome di una "legalità rivoluzionaria" molto vicina all’arbitrio. Si tratta di norme distanti dal diritto in senso democratico o "occidentale", c’è ancora il retaggio confuciano — che individuava la fonte di giustizia nell’autorità di chi detiene il potere, cosicché per secoli concetti come diritto soggettivo e oggettivo, norma, reato, pena, erano stati sostituiti dalla convenienza e dalla "coscienza sociale", amministrate a livello di clan —, ma è pur sempre un segnale di svolta39.

Il 1980 è una pietra miliare sul cammino della "de-maoizzazione": viene riabilitato Liu Shaoqi, vengono allontanati il sindaco di Pechino Wu Teh — che aveva soffocato le manifestazioni pro-Zhou Enlai nella primavera del 1976 — e Wang Tunghsing, il capo delle "Guardie 8341", il corpo speciale preposto alla protezione di Mao. Hua Guofeng è sempre più isolato. Guadagnano posizioni due uomini di Deng Xiaoping: Hu Yaobang (1915-1989), che occupa la ripristinata carica di Segretario del Pcc, e Zhao Ziyang (1919-2005), che si dedica al "recupero" dell’industria, ancora profondamente arretrata.

Il 27 giugno 1981 il Pcc redige il documento Risoluzione su certe questioni nella storia del nostro partito dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese, immediatamente diramato in tutta la Cina e nel mondo, che, con la sua condanna pressoché totale dell’operato di Mao, è paragonabile al "rapporto segreto" di Krusciov su Stalin del 1956. Due giorni dopo la pubblicazione della Risoluzione, Hua Guofeng si dimette anche dalla presidenza del Pcc e della Commissione Militare. Al vertice del Partito gli succede Hu Yaobang, alla Commissione Militare va Deng Xiaoping.

I mutamenti del 1980-1981 ricevono il sigillo dell’ufficialità dal XII Congresso del Pcc (1-12 settembre 1982). La maggioranza è con Deng, pur sussistendo correnti di opposizione fra cui spiccano tre principali gruppi, secondo la tipologia proposta da Fernando Mezzetti40: i "nostalgici" maoisti, diffidenti verso ogni apertura all’esterno; gli "ortodossi", legati all’economia pianificata di tipo sovietico, scettici anche nei confronti d’una timida economia privata; e i "riformisti" estremi che, al contrario, spingono per una veloce apertura politica ed economica.

Modernizzazione, novità, riforme, sono l’essenza della nuova Costituzione della Repubblica Popolare Cinese, approvata il 4 dicembre 1982, manifesto politico della leadership moderata ora al potere. La Carta del 1982, pur con alcuni emendamenti effettuati nel 1988, 1993, 1999 e 2004, è ancora in vigore41. Nonostante le dichiarazioni di intenti, però, la Cina resta governata da un regime comunista, totalitario, sordo ai diritti umani e alle libertà individuali. Un sistema che si è affrettato a chiudere con il passato ma comincia a fare i conti col presente. La disoccupazione, per esempio, a cui i dirigenti di Pechino, liberandosi di ulteriori zavorre ideologiche, decidono di far fronte consentendo ai piccoli imprenditori di avere dipendenti.

8. Verso il Duemila: riforme e repressione

Nel 1979-1980 la Cina apre all’Occidente: sulle coste orientali e meridionali nascono le Zone Economiche Speciali (Zes), istituite per attrarre imprese straniere che intendono produrre solo per l’esportazione, incoraggiate con agevolazioni fra cui facilitazioni fiscali ed esenzione doganale per l’importazione di macchinari e materie prime. Nel 1981 le Zes sono già quattro: Shenchen, Chuhai, Shanton (Kunagtung) e Hsiamen (Fuchian). Si moltiplicano gli accordi per l’installazione di nuove industrie e di iniziative congiunte e s’intensificano i rapporti con Hong Kong.

Nel 1983 i "riformatori" si stabilizzano al potere. La produzione agricola e industriale raggiunge il top e nel 1984 la Cina si apre alla collaborazione economica e tecnologica occidentale. Il premier Zhao Ziyang, animato dai successi economici, non dà importanza ai fermenti sociali che si accompagnano al processo di riforma. È convinto, a torto, che la ricetta per i problemi contingenti sia solo una forte accelerazione delle riforme.

Il 1985 è l’anno della "glasnost" (trasparenza) e della "perestroika" (ristrutturazione) di Mikhail Gorbaciov in Urss. Parole magiche che giungono anche all’orecchio dei cinesi. La voglia di Occidente è palpabile. Sul finire del 1986, però, cominciano ad addensarsi nubi sull’orizzonte delle riforme. Tremila studenti dell’ateneo di Hefei (Anhui) manifestano per chiedere più democrazia e per rivendicare la libertà di scegliere propri rappresentanti accademici tramite liste svincolate dal controllo del Pcc. Anche a Pechino, nella zona economica speciale di Shenchen e a Shanghai, la gente chiede meno tasse, migliore tenore di vita e rappresentanze studentesche più autonome.

I giovani manifestano a decine di migliaia. Le autorità moltiplicano gli appelli all’ordine e ribadiscono il divieto di manifestazioni non autorizzate. C’è nervosismo ai vertici, specialmente quando le proteste assumono toni antigovernativi, biasimano apertamente la corruzione nel Partito e nello Stato, pongono in discussione i "quattro principi" di Deng Xiaoping e rivendicano democrazia.

Piazza Tien Anmen viene dichiarata off-limits per gli assembramenti, ma il 1° gennaio 1987 oltre duemila giovani sfidano il divieto. Bruciano i giornali che condannano le manifestazioni, inneggiano a Deng, chiedendo di accelerare il lento processo di riforma, bersagliano i conservatori. In realtà per Deng le riforme sono solo la moneta per ottenere dall’Occidente tecnologia, capitali e potenzialità manageriale per modernizzare il Paese, non per democratizzarlo. La tragedia della Tien Anmen sarà la conseguenza di questo malinteso.

La responsabilità delle proteste viene addossata a Hu Yaobang che viene rimosso dall’incarico di segretario del Pcc e sostituito da Zhao Ziyang. La carica di primo ministro va al vicepremier Li Peng.

Nel 1988 l’Assemblea Nazionale del Popolo — il parlamento cinese egemonizzato dal Pcc —ratifica due storici emendamenti costituzionali: viene legittimata l’iniziativa privata e viene cancellato l’assioma della "proprietà del popolo". Individui e gruppi, nazionali e stranieri, possono ora acquistare e vendere terreni sotto forma di leasing. In ambito giuridico una nuova legge permette ai cittadini di citare lo Stato per lesi diritti e abuso di potere.

Sul fronte dei prezzi si opta per una ulteriore liberalizzazione che, però, provoca ripercussioni tali da costringere il governo a intervenire con un congelamento, una riduzione degli investimenti a lungo termine, un giro di vite sui crediti e un controllo centralizzato proprio su quelle regioni speciali in espansione. Il severo aumento dell’inflazione è il pretesto che gli antiriformisti attendevano. Li Peng e i "conservatori" cavalcano l’onda del malcontento.

1989: le difficoltà economiche acuiscono insofferenza e scontento e gli intellettuali rinfocolano il dibattito sui temi dolenti: libertà, democrazia, diritti umani, non violenza. Il 15 aprile muore Hu Yaobang. Come era avvenuto nel 1976 per Zhou Enlai, nascono nelle università spontanei moti di omaggio per il "riformatore" che convergono nella piazza Tien Anmen. Il flusso di dimostranti aumenta a mano a mano che si avvicina il giorno 22, data dei funerali di Hu. Zhao Ziyang è certo che, terminate le esequie, la situazione tornerà normale. Sbaglia42.

Li Peng, insieme con altri leader, accentua la gravità della situazione e convince Deng Xiaoping a optare per la linea dura. "Più si concede, più si crea caos […]. Dobbiamo evitare di versare sangue, ma prepararci a farlo se necessario", sentenzia Deng, e ordina che le sue parole siano pubblicate in un editoriale sul Quotidiano del popolo (Jen-min Jih-pao). È l’Editoriale del 26 aprile, che provocherà l’innalzamento delle barricate.

Con il passare dei giorni le dimostrazioni si smorzano, ma permane uno stato di tensione che lascia in allarme le autorità. Si avvicina un’altra data: il 4 maggio, settantesimo anniversario del Movimento del 4 maggio 1919, la prima "salva" della rivoluzione che avrebbe portato Mao al potere. Il 3 maggio Zhao Ziyang tiene il discorso per celebrare la storica data: parla di riforme, affermando che saranno tanto più rapide quanto maggiore sarà la stabilità sociale. Non una parola contro il "liberalismo e la democrazia borghese", a dispetto delle pressioni esercitate da Li Peng e dal presidente della Repubblica Yang Shangkun (1907-1998). Il baratro che divide Deng Xiaoping e Zhao Ziyang è incolmabile.

La strategia moderata di Zhao affonda inesorabilmente il 13 maggio. Tremila studenti proclamano lo sciopero della fame. Fattore catalizzante è l’imminente visita del leader sovietico Gorbaciov, assunto a vessillo dei riformatori. Giornalisti di tutto il mondo, a Pechino per documentare la visita del leader sovietico, riferiscono delle moltitudini che invocano democrazia, libertà e sparano a zero su quegli stessi governanti che hanno elevato il Paese a un se pur minimo benessere. Piazza Tien Anmen somiglia a un ospedale da campo, mentre la protesta dilaga anche in provincia. I manifestanti vogliono che Li Peng venga a scusarsi e che Deng Xiaoping se ne vada dopo aver ricusato le dichiarazioni del 26 aprile. Con il placet di Deng, invece, il 20 maggio viene proclamata la legge marziale. Zhao Ziyang viene rimosso. Li Peng sarebbe il successore "naturale" ma, alla fine, il consenso converge sul segretario del Pcc di Shanghai, Jang Zemin.

Poi la situazione precipita. Il regime si sente assediato dall’opposizione in patria e dai mormorii dell’opinione pubblica internazionale. Entrando in città, i militari trovano una popolazione esasperata e le speranze di evitare spargimento di sangue sfumano. Già la sera del 2 giugno si contano i primi morti presso la periferia occidentale di Pechino. Si radunano gruppi di studenti e cittadini presso i principali incroci stradali, veicoli dell’esercito vengono assaltati, rovesciati o danneggiati. Il 4 giugno, giorno della tragedia, gli scontri si fanno più violenti43 . Il potere politico si eclissa. Soltanto l’8 giugno Li Peng appare in televisione per elogiare le truppe e per incitarle a continuare la lotta. Deng torna in scena il 9: sostiene che la repressione è stata inevitabile per evitare che il Partito fosse sopraffatto, la fine della lotta di classe e la concentrazione degli sforzi per la modernizzazione economica, comunque, continuano a essere la linea guida. Ma le immagini dei massacri hanno fatto il giro del mondo, suscitando sdegno e condanna da parte di tutti i governi democratici. Il ragazzo inerme che sfida il carro armato è già emblema sulle copertine della stampa mondiale.

Ancora oggi il bilancio dei morti è coperto dal segreto di Stato. La Croce Rossa riferisce dell’uccisione di 2.600-3.000 persone e di circa trentamila feriti cui sono seguiti migliaia di arresti, processi ed esecuzioni capitali. Secondo Amnesty International si devono aggiungere almeno altri mille decessi, fra persone giustiziate per ribellione, incendio di veicoli militari e ferimento o uccisione di soldati44.

Con Jiang Zemin si riparte dal vecchio "nuovo corso" di Deng: priorità allo sviluppo economico, fedeltà ai "quattro principi", continuazione del processo di riforma e apertura.

Il 9 novembre 1989 viene rimosso il Muro di Berlino. Il 25 dicembre, in Romania, Nicolae CeauŞescu e sua moglie Elena (1919-1989) vengono processati e giustiziati in diretta televisiva. Il 1° gennaio 1992 l’Unione Sovietica cessa di esistere. Scricchiolano anche le mura della Chung Nanhai? L’isolamento internazionale e l’immobilità della leadership provocano recessione economica. L’unica misura che il governo sa prendere, dopo il giro di vite politico, è un rilancio del settore pubblico mediante un ordine d’arresto del settore privato.

Il 12 ottobre 1992 si celebra il XIV Congresso del Pcc. In economia lo Stato si ritira, riservandosi un ruolo simile a quello di molti Paesi occidentali. Nasce l’"economia socialista di mercato" o "socialismo di mercato". Un’ennesima contraddizione che, però, pare funzionare. I leader hanno compreso che il regime, per evitare di fare la fine mortificante dell’Urss, dev’essere motore delle riforme e dello sviluppo. Il ritiro dalla gestione economica diretta è il prezzo da pagare per la sopravvivenza al potere.

Ma se i leader non hanno esitato a sbarazzarsi dei fardelli ideologici che impedivano il progresso economico del Paese, non hanno mai rinnegato il marxismo-leninismo e il "Mao-pensiero", ancorché riadattati, quanto a dispregio verso diritti umani e libertà individuali.

Nel 2008 le esecuzioni capitali eseguite nel mondo sono state 2.390, e il record è andato ancora alla Cina, con 1.718 esecuzioni e almeno 7.000 condannati a morte45.

Attualmente la popolazione cinese è di oltre 1.330 milioni. Le autorità ribadiscono la validità della rigida politica demografica senza cui, spiegano, la quota sarebbe stata raggiunta già da venti anni. Naturalmente tacciono sui sistemi: con la complicità dello Stato, si consuma un orrore che spazia dagli aborti selettivi agli omicidi per abbandono, per annegamento o per iniezione letale, consumati nelle "Case di pubblica assistenza" ove bambini e adolescenti — in prevalenza femmine e handicappati — attendono la fine dopo essere stati abbandonati dai genitori e dal governo46. La legge del mercato, assurta a dogma, non permette alla Cina di trasformarsi in un Paese sovrappopolato e indigente.

9. I nodi vengono al pettine

Il 19 febbraio 1997 muore Deng Xiaoping. Il 1° luglio Hong Kong entra sotto la sovranità cinese. Il 19 dicembre è la volta della colonia portoghese di Macao. Finisce l’era del colonialismo europeo in Asia.

Il 2 luglio 1997, con il tracollo del bath, la moneta thailandese, le valute dei Paesi dell’Asia orientale franano l’una sull’altra. La Cina riesce a contenere gli effetti della crisi perché i suoi mercati finanziari sono alquanto isolati dagli interventi del capitale e sussistono regole che impediscono agli investitori stranieri completa libertà di azione. Poi c’è il progetto di "ricentralizzazione" di Zhu Rongji, che nel 1998 diverrà primo ministro, con la politica di stretta creditizia e controllo delle esportazioni, che garantisce una stabilità e restituisce al potere centrale il controllo sulla macroeconomia.

La Cina popolare, che il 1° ottobre 1999 ha commemorato i suoi cinquant’anni, è uno Stato frammentato e diviso, come la sua società. Entrambi nel vortice di nuove contraddizioni scaturite, stavolta, non dalla dialettica rivoluzionaria teorizzata da Mao, ma dalla complessità delle trasformazioni economiche e sociali in atto. Al culto del "Mao-pensiero", ormai del tutto escluso dalla prassi, si sostituiscono il culto del mercato, l’assillo della "stabilità sociale". L’essenza del potere statale si trasforma, ma all’interno di istituzioni immobili. Mentre i mutamenti economici stravolgono i canali di approvvigionamento e di distribuzione di merci e di servizi, resta invariata la repressione del dissenso politico e religioso. La coesistenza fra autoritarismo politico e mercato genera poi ulteriori contraddizioni in una società che prima era divisa secondo parametri amministrativi e ora si trova segmentata in confini stabiliti dai rapporti economici e dagli attori del mercato. C’è differenza fra aree costiere ad alto sviluppo e zone interne arretrate; lo status dei contadini è ancora separato da quello dei cittadini; le minoranze etniche hanno prospettive inferiori rispetto alla maggioranza di etnia han; un gran numero di disoccupati e di sottoccupati si contrappone agli occupati e i richiestissimi lavoratori specializzati si distinguono dalla massa di non qualificati, facile preda dello sfruttamento.

Nelle campagne l’agricoltura familiare ha elevato le condizioni di vita di parte della popolazione, ma lo smantellamento delle strutture assistenziali ha affossato le aree già depresse per deficienza di investimenti infrastrutturali e scarso rendimento delle attività collaterali. Perciò centinaia di milioni di contadini hanno abbandonato le campagne per riversarsi nelle aree urbane a infoltire le fila dei disoccupati.

Nel luglio del 2001 Pechino viene scelta dal Comitato Olimpico Internazionale per ospitare le Olimpiadi del 2008. In dicembre viene ammessa nella World Trade Organization.

Durante il XVI Congresso del Pcc (8-15 ottobre 2002) Jiang Zemin passa il testimone a Hu Jintao.

La Cina che Jiang lascia a Hu è in fase di ascesa economica, ma afflitta da disoccupazione, corruzione, continua violazione dei diritti umani e persino da una allarmante epidemia di Aids. "Dobbiamo essere al passo coi tempi", ammonisce l’uscente Jiang Zemin annunciando ufficialmente l’ingresso degli "imprenditori privati" nel Partito. In realtà si tratta di manager delle principali aziende e banche di Stato, più che di veri imprenditori privati, e tutti supplenti, salvo uno, che fa parte dei 198 titolari. Secondo la teoria delle "tre rappresentanze" di Jiang, inserita nello statuto del Partito, il Pcc non sarà più solo il rappresentante di operai e contadini, ma anche avanguardia delle nuove classi.

Sotto gli auspici del numero otto (bā), fortunato per i cinesi, le Olimpiadi si inaugurano l’8 agosto 2008 alle otto di sera. Per sedici giorni il "Regno di Mezzo" è palcoscenico dell’evento sportivo dell’anno dietro cui si cela, nella prospettiva della Tien Anmen, la Cina dei diritti umani calpestati, dei monaci tibetani trucidati, del record mondiale delle esecuzioni capitali, della libertà religiosa negata47.

Il 1° ottobre 2009 il "Paese che produce tutto", afflitto dalla prima grande crisi del suo singolare capitalismo, ha celebrato i sessant’anni della rivoluzione comunista. Un esercito di disoccupati, in fuga dalle città costiere dove chiudono fino a sette aziende su dieci, torna nei villaggi lasciati negli ultimi vent’anni. I dati ufficiali fissano la disoccupazione al 4,1%, ma gli esperti spostano il livello poco sotto il 20%. Dietro la crisi cinese, la recessione in America e in Europa: nel luglio del 2009 le esportazioni sono calate del 22,9%. Le importazioni segnano un decremento del 14,9%. Migliaia di aziende dipendono dall’export fino all’80%. Su sei milioni di nuovi laureati, la metà è senza lavoro48.

Sommosse, sfociate in conflitti e omicidi, hanno sconvolto la vita delle aziende nella prima metà del 2009. Il regime è tassativo: le ottimistiche previsioni occupazionali devono avverarsi. I dirigenti, che nascondono fallimenti o fusioni, fuggono nottetempo. I lavoratori, per conservare il posto o per ottenerlo, pagano i manager che restano. Negli atenei i laureandi fingono di essere stati assunti per poter discutere la tesi e non essere retrocessi in atenei di provincia. Fra studenti e docenti si registra un boom di suicidi49.

Alti funzionari pubblici, coperti dall’anonimato, riferiscono che il regime è "in forte fibrillazione". Le ondate di disoccupati, per la prima volta, scuotono il potere. Pechino teme che le sommosse davanti alle fabbriche chiuse si saldino con le rivolte etniche finora represse.

Il sangue continua a scorrere.

Note

1 Cfr. Cina. Anniversario regime, Hu Jintao da maoista a Pechino, Apc, 1-10-2009; e Cina: 60 anni di comunismo, imponente parata fa sfoggio di potere, Agi/Reuters/Efe, 1°-10-2009.

2 La confisca riguarda "i fondi, gli animali da tiro, gli strumenti, le case coloniche e ogni eccedenza produttiva dei signori della terra", nonché le superfici coltivabili appartenenti a santuari, templi, monasteri, scuole ed enti pubblici: cfr. The Agrarian Reform Law of the People’s Republic of China, Repubblica Popolare Cinese, Pechino 1959; inoltre il mio La Cina dalla "rivoluzione permanente" al "socialismo di mercato", in Nova Historica. Rivista internazionale di storia, anno II, n. 6, aprile-giugno 2003, pp. 54-56; e Carlo Gagliardi, Il sistema agrario cinese dai Ching-T’ien alle comuni, in Orientamenti Sociali, anno XXXI, n. 5-6, Roma dicembre 1975, p. 20. Il 40% delle terre viene ridistribuito, ma l’esiguo numero di privilegiati nelle campagne cinesi e l’alta densità delle aree rurali fanno sì che i contadini poveri non guadagnino granché: dopo la riforma l’appezzamento medio di cui possono disporre è di soli 0,8 ettari; cfr. Werner Meissner, La voix orthodoxe (1949-1955), in Marie-Claire Bergère; Lucien Bianco; e Jürgen Domes (a cura di), La Chine au XXe siècle de 1949 à aujourd’hui, 2 voll., Fayard, Parigi 1990, vol. II, p. 19.

3 Jean-LouisMargolin, Cina: una lunga marcia nella notte, in Stephane Courtois (a cura di), Il libro nero del comunismo, trad. it., Mondadori, Milano 1998, p. 449.

4 Intellettuali, borghesi, piccoli imprenditori, militanti non comunisti, quadri comunisti eccessivamente indipendenti; cfr. ibidem.

5 Cfr. ibid., p. 451.

6 L’origine degli attriti con la Chiesa cattolica risale al gennaio 1951 allorché il governo comunista crea una Divisione per gli Affari Religiosi, successivamente denominata Ufficio per gli Affari Religiosi, per controllare attività che il regime ateo considera destabilizzanti. Il 2 agosto 1957 è istituita l’Associazione Patriottica dei Cattolici cinesi (Ap), direttamente controllata dal regime. Da allora la Chiesa cattolica fedele alla Santa Sede è entrata nella clandestinità.

7 Kuomintang: partito fondato nel 1912 da Sun Yat-sen (1866-1925) sulla base dei principi di nazionalità, democrazia e socialismo. Alla morte di Sun gli succede Jiang Jieshi (1887-1975) che imprime al Paese una decisa svolta a destra. Dopo trent’anni di lotta fratricida e la vittoria dei comunisti di Mao, Jiang si rifugia con i suoi fedelissimi nell’isola di Taiwan — o Formosa — che diviene la Repubblica di Cina (Chung-hua Min-Kuo).

8 Cfr. J.-L. Margolin, op. cit., p. 452.

9 Cfr. Nikita Krusciov, Rapporto "segreto" al XX Congresso del PCUS, trad. it., Edizioni Corrispondenza Socialista, Roma 1958.

10 Lo slogan risale al filosofo taoista Chuang-chi (IV-III secolo a.C.) ed è riferito alle varie scuole filosofiche che fiorivano nel periodo dei "Regni Combattenti" (480-220 a.C.). Durante questa età dell’oro delle attività intellettuali si svilupparono il taoismo, il confucianesimo e la "Scuola dei legisti".

11 J.-L. Margolin, op. cit., p. 455.

12 Cfr. Emilio Bottazzi, Cina e India, frontiere sotto il tetto del mondo, Cappelli, Bologna 1975, p. 51.

13 Cfr. ibid., p. 57.

14 I khampa sono un’etnia tibetana che vive nel Ching-hai meridionale.

15 Da qui in avanti, se non indicato diversamente, i corsivi sono tratti da Frank Moraes (1907-1974), La rivolta nel Tibet, trad. it., Piccin, Padova 1962, pp. 2-31.

16 Norbulingka significa "Parco del Gioiello". Si tratta di un vasto complesso formato da bassi palazzi, padiglioni, templi, giardini e boschi.

17 Cfr. E. Bottazzi, op. cit., pp. 126-132.

18 Cfr. il mio Cina: repressa la rivolta in Tibet, in Corrispondenza Romana, n. 1035, 29-3- 2008, pp. 2-3.

19 Cfr. i miei Cina: dialoghi di facciata sul Tibet, ibid., n. 1041, 10-5-2008, p. 1; e Comunismo: continua il contrasto tra Cina e Tibet, ibid., n. 1067, 15-11-2008, p. 3.

20 Ibidem.

21 L’incontro è poi avvenuto il 18 febbraio 2010, anche se non nello Studio Ovale (ndr).

22 Cfr. il mio USA: Obama non incontra il Dalai Lama, ibid., n. 1112, 10-10-2009.

23 Cfr. Creazione delle comunità del popolo, in Relazioni Internazionali. Rivista dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, numero speciale dedicato all’Estremo Oriente, anno XXIII, Milano 14-2-1959. Per il passaggio dal movimento cooperativo a quello comunitario, cfr. WuChih-pu, From APCs to People’s Communes, in Hong Chi [Bandiera rossa], 16-9-1958, cit. in C. Gagliardi, op. cit., pp. 20-21.

24 Cfr. Edward Crankshaw (1909-1984), La nuova guerra fredda. Mosca contro Pechino, trad. it., Cappelli, Bologna 1965, pp. 34-35.

25 Cfr. Jasper Becker, La rivoluzione della fame. Cina 1958-1962: la carestia segreta, trad. it., il Saggiatore, Milano 1998, p. 94; e il mio La rivoluzione della fame: Cina 1958-1962, in Studi Cattolici, anno XLI, n. 451, Milano settembre 1998, pp. 640-644.Cultura&Identità — Anno II , n° 3, gennaio - febbraio 2010 p. 56.

26 J.-L. Margolin, op. cit., pp. 484-486.

27 Oltre a Peng Chen, facevano parte del "Gruppo dei Cinque" Jiang Qing, moglie di Mao; Kang Sheng (1898-1975), vicepresidente del Comitato Permanente del Politburo, distintosi per crudeltà già ai tempi della purga di Yenan del 1942; Chen Po-ta (1904-1989), ideologo e redattore della rivista Hong Qi; e Chang Chung-ya.

28 Cfr. Sul bisogno di una grande Rivoluzione culturale (Resoconto di un discorso pronunciato in una riunione allargata della Commissione permanente del Politburo del 17-3-1966), in Mao Tse-tung, Opere, trad. it., 25 voll., Edizioni Rapporti Sociali, Milano 1991-1994, vol. XXII, 1964-1966, p. 247.

29 Cfr. il mio Sulle rive dello Yang-Tze. Cina 1966-1976, in Studi Cattolici, anno XLIII, n. 458-459, Milano aprile-maggio 1999, pp. 335-339.

30 Le autorità non possono pronunciare la parola "intellettuale" senza aggiungervi l’epiteto "chou", puzzolente.

31 Il 16 ottobre 1964 viene fatta esplodere la prima bomba atomica cinese.

32 Destinato a dissidenti e criminali comuni, il laogai, abbreviazione di "laodong gaizao" (riforma attraverso il lavoro) è un campo di concentramento la cui funzione è l’utilizzo dei prigionieri come manodopera a basso costo e la "riabilitazione dei criminali" attraverso il lavoro duro e la rieducazione politica. Il numero dei laogai e dei prigionieri è segreto di Stato. La Laogai Research Foundation parla di mille campi e stima il numero dei detenuti fra i quattro e i sei milioni. Si calcola che dal 1949 alla metà degli anni 1980 siano passati per i Laogai circa cinquanta milioni di prigionieri. Sempre secondo la Laogai Research Foundation, dalla fine degli anni 1970 esiste la triste pratica degli espianti di organi dei prigionieri giustiziati da utilizzare per i trapianti necessari ai cinesi più agiati o per essere venduti all’estero: sul punto cfr. Valentina Piattelli, Cina: il lavoro forzato nei Laogai, in Squilibrio, 15-7-2003, in <http://www.squilibrio.it>, consultato il 15 novembre 2009; cfr. inoltre J.-L. Margolin, op. cit., pp. 467-481.

33 Cfr. Paolo VI, Sia bandita la guerra per un’operosa convivenza tra i popoli, Messaggio alle Nazioni Unite, in Relazioni Internazionali, anno XXIX, n. 41, 9 ottobre 1965, p. 959; cfr. anche Paolo VI invita la Cina ad iniziare un colloquio di pace, ibid., n. 2, 14 gennaio 1967, pp. 45-46.

34 L’Heilongchiang è una provincia del nord-est cinese che confina a ovest con la Mongolia Interna e a nord con la Russia, lungo il corso del fiume Amur.

35 Cfr. Roger Howard, Mao Tse Tung, trad. it., Dall’Oglio, Milano 1978, p. 386. Per una sintesi degli avvenimenti cfr. Yao Ming-le, Congiura e morte di Lin Biao, trad. it., Garzanti, Milano 1984, e il mio La Cina dalla "rivoluzione permanente" al "socialismo di mercato", cit., pp. 76-80.

36 In cinese il numero "571" (wu ch’i yi) è omofonico di "insurrezione armata".

37 Il processo alla "Banda dei Quattro" si apre il 20 novembre 1980 e prosegue fino al 29 dicembre dello stesso anno; cfr. Alberto Toscano, Contraddizioni al processo di Pechino, in Relazioni Internazionali, anno XLIV, n. 49, Milano dicembre 1980, p. 1.083. Il verdetto del processo ai "radicali" giunge il 25 gennaio 1981. Per Jang Qing e Chang Chunchiao c’è la condanna a morte — con esecuzione sospesa per due anni — e la definitiva privazione dei diritti politici; cfr. sul punto Idem, La sentenza di Pechino, ibid., anno XLV, n. 5, gennaio 1981, pp. 71-72; e, inoltre, Le parti più significative della sentenza di Pechino, ibid., n. 11, marzo 1981, pp. 233-234.

38 Cfr. Luigi Tomba, Storia della Repubblica Popolare Cinese, Bruno Mondadori, Milano 2002, p. 143.

39 Cfr. Fernando Mezzetti, La "condanna" di Mao: un parricidio storico ed ideologico, in Nuova Storia Contemporanea, anno V, n. 5, settembre-ottobre 2001, p. 110.

40 Cfr. ibidem.

41 Quella del 1982 è la quarta costituzione, dopo quelle del 1954, del 1975 e del 1978. L’emendamento del 14 marzo 2004 è il più importante, in quanto introduce nella carta specifiche garanzie per la proprietà privata e per i diritti umani, queste ultime purtroppo continuamente disattese.

42 Cfr. Rapporto sulla situazione in merito agli incidenti del 25 aprile. Dal Comitato provinciale di Partito di Shanhsi e dal Governo popolare di Shanhsi al Partito e al Consiglio di Stato, in Andrew J.[ames] Nathan; e Perry Link, Tien an men, trad. it., Rizzoli, Milano 2001, pp. 112-115.

43 Cfr. il mio Pechino 1989: cronistoria di una tragedia annunciata, in Radici Cristiane, anno V, n. 47, Roma settembre 2009, pp. 56-59.

44 Cfr. Antonella Fontanella, L’Anniversario della Primavera di Pechino, pubblicato nel sito <http://www.sindromedistendhal.com>, consultato il 22-2-2010.C

45 Dati diffusi dalla Laogai Research Foundation Italia; cfr. <http://www.laogai.it>, consultato il 22-2-2010.

46 Cfr. Mauro Martini (1956-2005), E se è una bambina, uccidetela, in l’Espresso, anno XL, Roma, 24 settembre 1995, pp. 82-85. Un recente e importante libro di denuncia è Harry Wu, La strage degli innocenti. La politica del figlio unico in Cina, trad. it., Guerini e Associati, Milano 2009.

47 Il 30 giugno 2007 è stata pubblicata la Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai Vescovi, ai Presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa Cattolica nella Repubblica Popolare Cinese. Le autorità politiche hanno reagito con toni misurati, ma critici. L’Associazione Patriottica ha bloccato i siti che contengono il testo della lettera e ne ha proibito la diffusione, ha fatto arrestare alcuni sacerdoti e indurito le loro condizioni di detenzione.

48 Cfr. La Cina scopre la disoccupazione. Venti milioni tornano nelle campagne, in la Repubblica, Roma 12-8-2009.

49 Secondo gli ultimi dati ufficiali forniti nel 2007, ogni anno in Cina si registrano oltre 287.000 suicidi, il 58% di donne.