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INDICE DEL N. 3


C O N F R O N T I
anno II, n. 3, gennaio-febbraio 2010

Giovanni Formicola


Educazione e libertà

1. L’uomo è chiamato alla vita, e vi giunge nudo. Cioè, come prole inetta, bisognevole di tutto: nutrimento, vesti, cure, informazione e educazione.

Se non viene nutrito, vestito e curato, il "cucciolo d’uomo" piange, e poi muore. "Soltanto l’uomo [la natura] getta nudo sulla nuda terra, il giorno della sua nascita, abbandonandolo fin dall’inizio ai vagiti e al pianto. […] L’uomo […] non sa far nulla, nulla che non gli sia insegnato: né parlare, né camminare, né mangiare; insomma, per sua natura, non sa fare altro che piangere!"1. Questa descrizione del "cucciolo d’uomo" e il famoso apologo di Menenio Agrippa (VI sec. a. C.) spiegano e fondano il senso e la struttura dell’umana società e la vocazione sociale dell’uomo meglio di tanti trattati.

Se non viene educato, da barbaro degenera in selvaggio. "La condizione del barbaro è la condizione della società, che non è automaticamente votata né al progresso, né al decadimento, ma che, vivendo della vita che a essa trasmettono i suoi membri, predispone i termini della propria "conferma nella civiltà" attraverso gli strumenti di educazione e di istruzione che impediscono ai piccoli barbari, che a ogni generazione l’assalgono, di degenerare in selvaggi"2. E il selvaggio, soprattutto se informato e tecnologicamente dotato, è un soggetto assai pericoloso. Il "barbaro" va perciò educato.

Si può dire, parafrasando Tertulliano (160-220 ca.) — "fiunt, non nascuntur, christiani"3 —, che uomini un po’ si nasce, ma molto si diventa: Dio ha creato poco l’uomo4. E la sua gestazione continua anche fuori dell’utero materno. "Come l’utero materno ci contiene per nove mesi e ci prepara non per sé, ma per quel luogo in cui pare che siamo mandati già capaci di respirare e di resistere all’aria aperta, così attraverso questo periodo, che si estende dall’infanzia alla vecchiaia, maturiamo per un altro parto. Un’altra nascita ci attende, un’altra condizione. […] Questo giorno che temi come l’ultimo è quello della nascita all’eternità"5; è una "coltivazione" che si traduce in cultura mediante la cura animi.

2. L’educazione, dunque, consente alla libertà umana — elemento costitutivo della soggettività, ma non un assoluto anarchicamente inteso — di non essere distruttiva. Essa, cioè, fa di quel barbaro che è il neonato un uomo responsabile, perché capace d’intendere e di volere e quindi di rispondere delle proprie azioni, capace della decisione morale.

3. Condizione prima dell’educazione è l’autorità, che introduce alla realtà, nella misura in cui già la conosce e tanto quanto la conosce. Essa è cioè tramite alla verità conoscibile e conosciuta, che non è mai possesso o elaborazione di uno solo, ma è la trasmissione del progresso conquistato dalle generazioni che ci hanno preceduto: è tradizione, che dice sia l’atto del trasmettere, che quel che viene trasmesso, e che fa di molti una comunità.

L’autorità, a sua volta, è resa possibile dall’autorevolezza, cioè dalla capacità di dare — rectius: essere tramite di — una risposta vera, non soggettiva, non inventata e non relativistica alle domande fondamentali. "La persona […] chiede: "che cosa è, che cosa significa, questo è bene o male…?": e l’educatore risponde: "non lo so; non te lo dico, perché così quando sarai grande deciderai come ti sembra; non ti rispondo perché non c’è nessuna risposta alla tua domanda: ciascuno faccia come gli pare e piace". Domandiamoci: questo è un rapporto educativo? Non è abbandonare la persona al suo destino, alla tirannia dei suoi istinti, al deserto senza vie di uscite della sua solitudine? Senza mai usare la parola, vi ho detto che cosa è l’autorità dell’educatore"6.

4. Seconda condizione è una dialettica positiva fra l’educatore e il discepolo, coppia che si forma a ogni pie’ sospinto nella nostra vita. Una dialettica, cioè, non informata al sospetto, alla diffidenza, alla ribellione, alla conflittualità radicale: la "sociata tradentis accipientisque concordia"7.

5. Educare alla libertà, significa allora educare alla verità delle cose e del reale, educare alla distinzione fra il bene e il male e alla capacità di fare qui e ora il bene e evitare il male. Cioè, alla virtù della prudenza, che non sceglie il fine — che è o dovrebbe essere insindacabile — ma il mezzo migliore per conseguirlo nel caso concreto: i "momenti destinati al bene operare, che le occasioni della vita ci presentano"8. È educazione ai significati, non agli ormai insopportabili "valori", che suonano sempre più come "ciò che vale per me", con forte allure relativistica.

"La vera istruzione cerca non tanto d’impartire "valori", ma "significati".

" […] Non è compito dell’individuo […] determinare se preferisce la giustizia o l’ingiustizia; non tocca a lui decidere se la prudenza o l’imprudenza gli sta meglio. È vero, l’individuo può sempre decidere in questo senso e agire di conseguenza, facendo del male agli altri e a sé. Ma l’istruzione ha il compito d’impartire un’eredità morale; d’insegnare che le virtù e i vizi sono reali e che l’individuo non è libero di trastullarsi con i vizi come meglio crede.

"Ciò che la vera istruzione trasmette non sono i valori, ma un insieme di verità; cioè un modello di significati, percepiti con l’aiuto di certe discipline dell’intellet-to. Il tipo di istruzione che è prevalsa in Europa e in America fino al 1930, era un tentativo d’istruire la nuova generazione sulla natura della realtà. rintracciava un modello di ordine: ordine nell’anima e ordine nella comunità. Quell’antico sistema d’istruzione incominciava con l’informazione per passare alla conoscenza e, da questa, arrivare alla saggezza. Il suo fine, ripeto, era il raggiungimento non del valore, bensì della verità"9.

Il modello è quello della mia libertà di raggiungere la meta, che si subordina volentieri, cercandola e accettandola, all’autorità di chi, conoscendola, mi indica la strada giusta.

E all’obiezione secondo la quale la stessa idea di verità è fondamentalistica e porta all’intolleranza, è facile rispondere anzitutto che la tolleranza è piuttosto un’attitudine dello spirito che un principio sociale, perché non è mai esistita e non esiste alcuna società che non si fondi sull’intolleranza per qualcosa. Non tutto si può tollerare: è tollerabile il razzismo? E poi se Walter Veltroni dichiara "intollerabili" i corsi di studio d’italiano per i figli di stranieri che non lo parlano per favorirne l’integrazione nella scuola, credo sia legittimo individuare altre aree d’intollerabilità.

In sintesi, è in questione "[…] la seria formazione intellettuale e morale, indispensabile per progettare e costruire il […] futuro [di voi giovani] e quello della società. Chi su questo vi fa degli "sconti" non vuole il vostro bene. […] La crisi di una società inizia quando essa non sa più tramandare il suo patrimonio culturale e i suoi valori fondamentali alle nuove generazioni. Non mi riferisco solo e semplicemente al sistema scolastico. La questione è più ampia. C’è, lo sappiamo, un’emergenza educativa, che per essere affrontata richiede genitori e formatori capaci di condividere quanto di buono e di vero essi hanno sperimentato e approfondito in prima persona. Richiede giovani interiormente aperti, curiosi di imparare e di riportare tutto alle originarie esigenze ed evidenze del cuore. Siate davvero liberi, ossia appassionati della verità. Il Signore Gesù ha detto: "La verità vi farà liberi" (Gv 8,32). Il nichilismo moderno invece predica l’opposto, che cioè è la libertà a rendervi veri. C’è anzi chi sostiene che non esiste nessuna verità, aprendo così la strada allo svuotamento dei concetti di bene e di male e rendendoli addirittura interscambiabili. Mi hanno detto che nella cultura sarda c’è questo proverbio: "Meglio che manchi il pane piuttosto che la giustizia". Un uomo in effetti può sopportare e superare i morsi della fame, ma non può vivere laddove giustizia e verità sono bandite. Il pane materiale non basta, non è sufficiente per vivere umanamente in modo pieno; occorre un altro cibo del quale essere sempre affamati, del quale nutrirsi per la propria crescita personale e per quella della famiglia e della società"10.

A chi spetta prioritariamente — e in termini di diritto, ma soprattutto di dovere — educare? Certamente a chi ha chiamato all’essere quel barbaro. Cioè ai genitori. La famiglia fondata sul matrimonio, che è all’origine di ogni vocazione alla vita è la prima e principale "agenzia educativa", e deve godere della libertà di esercitare questo primario diritto-dovere, radicale barriera contro ogni totalitarismo. Essa naturalmente non può tutto, e ha bisogno del sostegno di altre agenzie educative, fino allo Stato, che agisce tuttavia in funzione sussidiaria e di promozione — anche economica — della libertà di educazione, e non in via originaria, come ha invece sempre pensato la sinistra: "[…] la responsabilità delle istituzioni pubbliche nella formazione dei cittadini […] non deriva da una delega ad esse data dalla famiglia o da altri corpi sociali, ma è una loro responsabilità originaria"11.

Non mancano contrasti e ostacoli a questa libertà, e non solo di tipo economico e strutturale, ma anche con stretto riferimento ai contenuti e ai messaggi che provengono dall’esterno dell’ambiente familiare. "La condizione storica nella quale versa la società italiana permette di identificare […] almeno due importanti sovvertimenti, realizzatisi nel corso della storia degli ultimi secoli. "Noi oggi — scriveva nel 1748 Charles de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu (1689-1755) ne Lo spirito delle leggi , riceviamo tre educazioni diverse e contrarie: quella dei nostri padri, quella dei nostri maestri, quella del mondo. Ciò che in quest’ultima ci vien detto rovescia tutte le idee forniteci dalle prime. Ciò deriva in parte dal contrasto che esiste in mezzo a noi fra gl’impegni religiosi e quelli mondani: cosa che gli antichi ignoravano". Poiché oggi anche l’educazione dei maestri rovescia quella dei padri, il primo sovvertimento riguarda il primato, non rispettato, della famiglia come organo educatore del soggetto umano. Traducendo la situazione in una formula di bon ton sociale, si può dire che la famiglia non ha la precedenza nell’opera educativa vero nomine. Il secondo riguarda il primato degli elementi formativi su quelli informativi, il primato dell’educazione sull’istruzione: anche in questo caso si può dire che l’educazione non ha la precedenza sull’istruzione. Infatti, la protezione e la promozione del momento educativo e informativo sono state sostituite dalla surroga, che fa dell’organismo statale non un organo fra altri della tradizione, ma l’organismo che della tradizione determina ampiamente modi e contenuti"12.

6. Torno sulla terra, dalla quale temo di essermi allontanato troppo, e concludo. Tutto quanto tende a ripristinare nel nostro sistema scolastico autorità e disciplina — un vero e proprio anti-Sessantotto —, nonché un autentico pluralismo educativo — dando alle famiglie la concreta possibilità di scegliere indirizzi formativi conformi alle proprie convinzioni —, non può che essere accolto con favore. Se mi è consentito, rivolgo al ministro il mio modesto appello a continuare su questa strada senza farsi condizionare dalle contestazioni strumentali della sinistra.

Dal maestro unico13, al voto in condotta, passando per le altre misure in corso d’approvazione, tutto sembra andare nella direzione di una benefica e salutare incipiente restaurazione di modelli e moduli educativi più idonei a sostenere l’autentica libertà umana.

E se in questo momento posso sembrare un po’ corrivo e adulatore, concludo con un appello invece "contestatore": vada oltre le tre "i", signor ministro. Ci sono anche la "l" e la "g": latino e greco, fondamenti di ogni autentica — e di ogni specie — acculturazione; e ci conservi, anzi lo potenzi, un grande patrimonio della nostra Italia: il liceo classico, che è uno dei maggiori contributi recenti del genio italico al mondo intero.

Trascrizione, annotata e rivista dall’autore, della relazione tenuta nell’ambito del convegno Educazione e libertà, tenutosi nell’ambito di A Cesare e a Dio. Gli incontri di Norcia della Fondazione Magna Carta, Norcia (Perugia), 18-19 ottobre 2008.

 

Note

1 Gaio Plinio Secondo, detto il Vecchio (23-79), Naturalis historia, VII, 1; trad. it., Storia naturale, a cura di Gian Biagio Conte, 2 voll. Einaudi, Torino 1982-1983 [vol. I, Cosmologia e geografia, libri 1-6, a cura di Alessandro Barchiesi; e vol. II, Antropologia e zoologia, libri 7-11, a cura di Alberto Borghini; Elena Giannarelli; Arnaldo Marcone; e Giuliano Ranucci], vol. II, pp. 8-11.

2 Pierre Guillaume Frédéric le Play (1806-1882), Textes choisis, a cura di Louis Baudin, Dalloz, Parigi 1947, pp. 79-82.

3 Apologeticum, n. 18.

4 Cfr. "Dio ha creato l’uomo il meno possibile" (Antoine Blanc de Saint-Bonnet, 1815-1880); e "[…] l’uomo è l’animale non ancora definito e in qualche modo non costituito una volta per tutte" (Arnold Gehlen, 1904-1976): entrambe le frasi sono citate in Giovanni Cantoni, Educazione e istruzione nella dottrina sociale naturale e cristiana, relazione a convegno, inedita.

5 Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65), Lettere a Lucilio, Libro XVII, Lettera 102, in Idem, Tutti gli scritti in prosa. Dialoghi, Trattati e Lettere, a cura di Giovanni Reale, Rusconi, Milano 1994, p. 1.263.

6 Card. Carlo Caffarra, Conferenza sul tema Educazione e famiglia, tenuta presso la parrocchia di Sant’Agostino Ferrarese, Ferrara 6 giugno 2008; testo in <http://www.caffarra.it/conferenza060608.php>, consultato il 22-2-2010.

7 Marco Fabio Quintiliano (35-95), De institutione oratoria, Libro II, 9, 3.

8 Platone (427-347 a. C.), Lettere, trad. it., 5a ed., Rizzoli, Milano 1986, IX lettera, 458 b.

9 Russell A. Kirk (1918-1994), La prudenza come criterio politico, trad. it., Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2002, pp. 201-202.

10 Benedetto XVI, Discorso in occasione dell’incontro con i giovani sardi in Piazza Yenne, Cagliari 7 settembre 2008. Più recentemente, lo stesso Pontefice è tornato sull’argomento con parole particolarmente impegnative, evocando la categoria del "pensiero forte": "Per Papa Montini — ha detto — il giovane va educato a giudicare l’ambiente in cui vive e opera, a considerarsi come persona e non numero nella massa: in una parola, va aiutato ad avere un "pensiero forte" capace di un "agire forte", evitando il pericolo, che talora si corre, di anteporre l’azione al pensiero e di fare dell’esperienza la sorgente della verità. Ebbe ad affermare in proposito: "L’azione non può essere luce a se stessa. Se non si vuole curvare l’uomo a pensare come egli agisce, bisogna educarlo ad agire com’egli pensa. Anche nel mondo cristiano, dove l’amore, la carità hanno importanza suprema, decisiva, non si può prescindere dal lume della verità, che all’amore presenta i suoi fini e i suoi motivi" (Insegnamenti II, [1964], 194)" (Idem, Discorso nell’incontro ufficiale per l’inaugurazione della nuova sede e per l’assegnazione del Premio Internazionale Paolo VI, Concesio (Brescia), 8-11-2009).

11 Cit. in Vincenzo Bugliani, Ministero della pubblica distruzione, ne il Foglio Quotidiano, Milano 10-2-1996.

12 G. Cantoni, rel. cit.

13 "È infatti proprio dell’"ideologia pedagogica" prevalente nel centrosinistra la radicale sottovalutazione delle specificità della scuola elementare, lo si vide, del resto, già quando, nel 1990, venne fatta la riforma delle elementari e furono introdotti i moduli con tre insegnanti per classe. L’ideologia prevalente nel centrosinistra non ha infatti mai permesso ai suoi adepti di capire che l’educazione del bambino è, e deve restare, cosa radicalmente distinta e diversa dall’istruzione che si può e si deve impartire all’adolescente e al ragazzo. Nel secondo caso, è possibile e necessario procedere mediante l’insegnamento separato di discipline (e occorrono insegnanti precisamente formati a questo scopo). Nel primo caso occorrono invece maestri, ossia educatori impegnati non nell’insegnamento specialistico ma nell’educazione complessiva del bambino (e che, a questo scopo, usano ovviamente le diverse "materie")" (Angelo Panebianco, Non uccidete le elementari, in Corriere della Sera, Milano 1°-11-2000).