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INDICE DEL N. 2


R E C E N S I O N I
anno I, n. 2, novembre-dicembre 2009

“ Pro captu lectoris habent sua fata libelli ”
Terenziano Mauro (II sec.)
[“Il destino di un libro dipende da chi lo legge”]

Adam Zamoyski, 16 agosto 1920 la battaglia di Varsavia, traduzione di Gabriella Cursoli, Corbaccio, Milano 2009, 188 pp., € 16,60.

In una conversazione con i delegati francesi al II Congresso del Komintern, l’organizzazione internazionale dei partiti comunisti, nell’agosto 1920, Vladimir Il’ič Ul’janov “Lenin”(1870-1924) disse che «Sì, le truppe sovietiche sono a Varsavia. Fra poco avremo anche la Germania. Riconquisteremo l’Ungheria, e i Balcani si solleveranno contro il capitalismo. L’Italia tremerà. L’Europa borghese scricchiola da tutte le parti, in mezzo a questa tempesta».

Un mese prima il generale sovietico, Michail Nicolaevič Tuchačevskij (1893-1937), in un ordine del giorno diretto alle forze dell’Armata Rossa sul fronte occidentale, aveva proclamato: «È giunto il momento della resa dei conti. L’esercito della Bandiera Rossa e l’esercito dell’Aquila Bianca predatrice stanno l’uno di fronte all’altro in uno scontro mortale. La via della conflagrazione mondiale passa sul cadavere della Polonia Bianca». La Russia che si accingeva a esportare la Rivoluzione in Europa trovò invece sulla sua strada la resistenza del popolo polacco che, nei giorni dal 14 al 16 agosto 1920, combatté la battaglia decisiva a Varsavia, sul fiume Vistola, che si concluse con la sconfitta dell’Armata Rossa. Dopo quella sconfitta militare, definita dal generale polacco Jòzef Haller (1873-1960) «il miracolo della Vistola» i vertici della Rivoluzione comunista furono costretti a iniziare una riflessione sulle modalità di conquista del potere in Europa, rinviando di più di venti anni l’occupazione dell’Europa Orientale.

Dell’epopea dei coraggiosi polacchi in Italia si è parlato poco. Per lungo tempo gli storici, al momento di affrontare l’argomento della battaglia di Varsavia, hanno preferito seguire la ricostruzione dei comunisti che, non volendo accettare l’idea della sconfitta dell’Armata Rossa, avevano inserito la guerra con la Polonia all’interno della guerra civile russa vinta dai sovietici.

Colma finalmente la lacuna il saggio dello storico statunitense (di famiglia polacca) Adam Zamoyski , specialista di storia militare e di storia della Polonia, pubblicato dalla casa editrice Corbaccio, il cui titolo originale Warsaw 1920. Lenin’s failed conquest of Europe (Varsavia 1920. La mancata conquista dell’Europa da parte di Lenin) sottolinea l’importanza capitale della battaglia di Varsavia nel far fallire il progetto di Lenin di esportare militarmente la rivoluzione in tutta Europa.

Preceduto dalla breve premessa del direttore della collana Sergio Romano e dalla Introduzione (pp. 7-9) di Zamoyski, il volume si apre (pp. 13-27) con un inquadramento storico-politico degli antecedenti del conflitto: la Polonia, smembrata nella seconda metà del XVIII secolo fra gli Imperi confinanti — russo, austro-ungarico e germanico —, rinacque come Stato sovrano solo dopo la Prima Guerra mondiale a seguito del nuovo ordine stabilito con il Trattato di Versailles (1919) dalle potenze vincitrici. Se i confini occidentali erano ben fissati, quelli orientali, verso la Russia, ormai bolscevica, rimanevano viceversa ancora da definire. La Dieta costituente polacca affidò le funzioni di capo della Repubblica a Jozéf Piłsudski (1867-1935), che assunse subito dopo il grado di maresciallo e di comandante delle forze armate.

Piłsudski era nato nel 1867 a Vilnius, nella Lituania allora parte della Russia zarista, da una famiglia della piccola nobiltà polacca e, cresciuto nel culto del patriottismo, durante la guerra aveva guidato la Legione Polacca, milizia ausiliaria sotto le bandiere dell’Austria-Ungheria.

Per definire i limiti territoriali a oriente, approfittando del fatto che la Russia sovietica era impegnata nella guerra civile contro le armate bianche anticomuniste, le truppe di Piłsudski, con un’operazione temeraria volta ad anticipare le mosse dei bolscevichi, nell’aprile 1920 avanzarono in Ucraina affiancandosi all’esercito ucraino anticomunista di Simon Vasilovič Petljura (1879-1926) e giunsero a Kiev, la capitale.

Piłsudski apparve all’opinione pubblica un invasore, ma in realtà già nel gennaio 1920 il Politburo, l’organo esecutivo comunista, aveva approvato un piano di invasione della Polonia. L’Armata Rossa, dopo una fase di ritirata, poté concentrare gran parte delle sue truppe, libere ormai dalla minaccia delle armate bianche, contro la Polonia e l’alleato ucraino. A questo punto la sproporzione fra l’Armata Rossa e i polacchi era enorme: le fanterie e i corpi della cavalleria russa fermarono i soldati di Piłsudski e contrattaccarono respingendoli fino alle porte di Varsavia. I governi occidentali rimasero indifferenti, limitandosi a inviare un’inutile missione interalleata guidata dal generale francese Maxime Weygand (1867-1965), di cui faceva parte anche l’allora capitano francese Charles de Gaulle (1890-1970), il quale registrerà con interesse nei suoi diari gli eventi bellici di cui fu testimone.

Il secondo capitolo del libro (pp. 29-49) è dedicato alla presentazione delle forze militari in campo: da un lato, l’Armata Rossa, riorganizzata dal Commissario del Popolo alla Guerra Lev Davidovič Trotskij (1879-1940), con le sue armate di fanteria e di cavalleria cosacca, malvestite, male equipaggiate ma animate dal fanatismo rivoluzionario e sorvegliate dai commissari politici; dall’altro, l’esercito di Piłsudski, con gerarchia e organizzazione occidentale, più equipaggiato ma altrettanto eterogeneo perché composto da soldati provenienti dalla Legione Polacca, da reggimenti congedati dalle disciolte armate austro-ungariche e germaniche, da volontari provenienti dalla cosiddetta “Armata Azzurra”, arruolata fra gli ex prigionieri di guerra polacchi nel 1917 dall’Intesa per combattere stavolta contro gli Imperi Centrali.

Nei due successivi capitoli (pp. 51-141) Zamoyski descrive nel dettaglio i grandi piani d’azione dei belligeranti e la battaglia di Varsavia. Le truppe e il popolo polacco sono sbigottiti: in due mesi, il rovesciamento delle sorti militari aveva condotto l’Armata Rossa a minacciare Varsavia. Dallo sconcerto si passa al terrore senza speranza: dopo l’euforia per quella che era parsa un’avanzata vittoriosa, gli abitanti di Varsavia apprendevano dai racconti dei profughi in fuga che le avanguardie bolsceviche minacciavano ormai la capitale.

Lenin, ormai sicuro della vittoria, costituisce addirittura un governo sovietico per la Polonia e lancia appelli all’insurrezione contro lo Stato borghese.

La Polonia però è una società più coesa e il suo Stato ha maggiori capacità di recupero di quanto Tuchačevskij e Lenin sospettassero: la minaccia mortale elettrizza la società e la Chiesa cattolica intensifica la pressione sui fedeli affinché resistano alle insidie del comunismo e sostengano l’esercito e il governo. Piłsudski accantona rifornimenti e raccoglie migliaia di volontari, comprese le donne, utilizzate in battaglioni di difesa a Varsavia. Accorrono contadini, impiegati statali, studenti, giovani boy scout, operai e membri del Parlamento che rappresentano una trasfusione di sangue nuovo alle truppe e ne rialzano il morale. Piłsudski elabora il suo piano di battaglia e si pone personalmente al comando di una forza di attacco, rincuorando l’esercito. Fra spostamenti di divisioni, attacchi e contrattacchi sanguinosi, città conquistate e perse nell’arco della stessa giornata, eroiche cariche dei lancieri polacchi, il 14 agosto le prime unità rosse sono a venti chilometri dalla capitale. In città regna un’atmosfera febbrile, uomini e donne si apprestano a combattere casa per casa, mentre bande di operai e simpatizzanti comunisti, raccogliendo gli appelli di Lenin, compiono azioni di sabotaggio. È la vigilia della festa dell’Assunzione e le chiese sono piene di fedeli che pregano la Vergine per la liberazione. Le processioni religiose si moltiplicano. Il 15 agosto comincia a circolare la voce che la Vergine Maria sia apparsa in cielo sopra le truppe polacche e le abbia condotte alla vittoria: moltissimi sacerdoti sono presenti e riconoscibili in mezzo ai soldati come nel caso di padre Ignacy Skorupka (1893-1920), caduto durante l’ennesimo assalto con il crocifisso in mano, alla testa delle truppe. Le arrischiate manovre di Piłsudski riescono a spezzare l’assedio e a dividere l’Armata rossa in più tronconi, aggrediti poi uno dopo l’altro dalle divisioni polacche.

L’Armata Rossa è allo sbando e i collegamenti tra le sue divisioni sono interrotti: Tuchačevskij non si rende conto subito della sconfitta incombente, e Lenin da Radio Mosca lancia ancora inutili appelli a costituire soviet di soldati polacchi e a distruggere la borghesia.

Zamoyski ricostruisce fin nei particolari le diverse manovre sviluppate dall’esercito polacco e che condurranno in pochi giorni l’Armata Rossa a ritirarsi dalla Vistola in assoluta e confusa disfatta.

Il quinto capitolo (pp. 144-166) esamina gli avvenimenti successivi al 25 agosto con l’offensiva vittoriosa di Piłsudski, che incalza le truppe sovietiche e si arresta alla frontiera della Prussia Orientale: il bilancio dell’Armata Rossa è di oltre trentamila soldati con armi e equipaggiamento fuggiti e poi internati in Prussia, oltre cinquantamila prigionieri e venticinquemila caduti in combattimento. Tuchačevskij non ha perso solo una battaglia, ha perso un esercito.

Malgrado le enormi riserve di soldati che l’Armata Rossa può impiegare per reintegrare le divisioni distrutte, le truppe di Piłsudski si sono ormai riorganizzate e rincuorate e ora avanzano incontrastate. Lo stato maggiore bolscevico è di fronte alla peggiore crisi dall’inizio del suo governo e l’unica soluzione è negoziare una tregua che diventa effettiva il 16 ottobre 1920.

Il capitolo finale del libro (pp. 167-175) esamina le conseguenze della guerra, dopo la pace firmata a Riga, in Lettonia, nel marzo 1921. Molti polacchi consideravano, a ragione, la pace soltanto un armistizio in una lotta ancora in corso: infatti, nel 1939, Iosif Vissarionovič Džugašvili “Stalin” (1878-1953) avrebbe colto al volo l’occasione offerta da Adolf Hitler (1889-1945) e avrebbe rioccupato con spirito di vendetta la Polonia orientale, e nel 1945 avrebbe ottenuto gran parte di quello che egli e Lenin volevano conquistare già nel 1920. L’assedio e la battaglia di Varsavia, all’epoca, fece molta impressione sull’opinione pubblica occidentale che rimase preda della giustificata paura del “pericolo rosso” e dell’invasione dei “cosacchi bolscevichi”, favorendo l’ascesa di governi autoritari e di democrazie “forti”. Secondo Zamoyski, la presenza a Varsavia nel 1920 del nunzio apostolico Achille Ratti (1857-1939), dal 1922 Papa Pio XI, lo convinse che il comunismo sarebbe stato in quel frangente il nemico principale della Chiesa e lo confermò nella sua decisione di lottare contro i totalitarismi. I comunisti capirono la “lezione polacca” e, ormai isolati a livello internazionale, perseguirono la rivoluzione mondiale con diversa strategia. In conclusione, il libro di Zamoyski ha il grande merito di riportare alla luce un avvenimento poco noto la cui portata è pari alla vittoria di un altro polacco, Re Giovanni III Sobieski (1624-1696) a Vienna l’11 settembre 1683, che allora fermò definitivamente l’armata turca, un altro nemico mortale della cristianità. Si tratta di un libro in cui prevale l’aspetto militare, con utile impiego di cartine esplicative e di dettagli relativi alle strategie militari e agli armamenti, ma che consente di farsi un’idea chiara dello scenario storico e politico. Fra l’altro va segnalato che la conoscenza del polacco e del russo ha permesso a Zamoyski d’intervistare molti testimoni di quei fatti e di avvalersi di testi e documenti originali riportati nelle note a fine capitolo che, assieme alla bibliografia essenziale (pp. 177-179) e all’utile indice dei nomi e dei luoghi citati (pp. 183-188), completano il volume.

Franco Roberto Maestrelli