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INDICE DEL N. 1


A R T I C O L I
anno I, n. 1, settembre-ottobre 2009

Ermanno Pavesi

Ipotesi demonologiche su Freud

Nello studio Un caso di guarigione ipnotica con osservazioni sulla produzione di sintomi isterici mediante la “controvolontà” (1), Sigmund Freud (1856-1939) ha esaminato i meccanismi psichici della nevrosi e in particolare dell’isteria. Già altri autori prima di lui si erano serviti dell’ipnosi come strumento per lo studio sperimentale dell’attività psichica, e la maggior parte di essi aveva ammesso l’esistenza di un’attività psichica inconscia per spiegare i meccanismi dei fenomeni ipnotici e post-ipnotici.

1. La “controvolontà”

Nel lavoro citato Freud postula l’esistenza di rappresentazioni coscienti e inconsce opposte alle prime, queste chiamate “Kontrastvorstellungen”, “rappresentazioni di contrasto” (2). Si tratterebbe di contenuti psichici inconciliabili con i valori della persona cosciente e “penosi”, e che per questo verrebbero respinti dal conscio e “rimossi”. Lo studio dell’isteria mostrerebbe che le rappresentazioni rimosse non sarebbero cancellate, ma solo represse nell’inconscio, in cui sarebbero conservate, «[...] mantenendo una insospettata esistenza in una specie di zona d’ombra [regno delle ombre], fino a quando non vengono fuori come folletti [uno spettro] impadronendosi del corpo, che altrimenti obbedisce alla predominante coscienza dell’Io» (3).

Questa formulazione è molto interessante: già l’espressione dell’originale tedesco “regno delle ombre” associa l’immagine dell’inconscio al regno dei morti, quindi a una specie di inferno, immagine che compare di tanto in tanto nelle opere di Freud. La rappresentazione rimossa che riesce a fare la sua apparizione nel conscio viene chiamata “spettro”. Qui Freud si riferisce soprattutto a particolari sintomi isterici, ad esempio alle paralisi e cecità isteriche: il ritorno della rappresentazione rimossa prenderebbe possesso del corpo e lo sottrarrebbe al controllo dell’Io.

In questa concezione si possono riconoscere le tracce di una teoria psicologica della possessione: ciò che “possiede” il corpo non è uno “spettro” nel senso corrente del termine, uno spirito estraneo o una forza extraumana, ma una rappresentazione estranea all’Io, inconscia e rimossa. Queste rappresentazioni di contrasto si affermerebbero come “controvolontà”. Il concetto di “controvolontà” è significativo in quanto per Freud non tutto lo psichico è sottoposto al controllo della volontà cosciente, ma alcuni ambiti sembrano dipendere da una volontà che non solo non corrisponde alla personalità cosciente del soggetto, ma che gli è addirittura contraria e nei confronti della quale egli è impotente. «In genere l’isteria deve a questo imporsi della controvolontà quel tratto demoniaco che con tanta frequenza l’accompagna e che consiste nel fatto che gli ammalati non possono fare proprio ciò che essi con maggiore intensità vorrebbero e nel modo desiderato, che fanno proprio il contrario di quanto è stato loro richiesto, e che devono oltraggiare e calunniare ciò che hanno di più caro» (4). Questa controvolontà può imporsi, «mentre il malato è cosciente, con stupore, di una volontà decisa ma priva di forze» (5). Se il ritorno del rimosso si manifesta come “spettro” e come espressione di una “contro volontà”, si può comprendere il passaggio successivo dell’interpretazione psicoanalitica del demoniaco, se si pensa al Demonio come all’avversario, come diavolo, come colui che divide, come portatore di contrasti.

Nel necrologio per lo psichiatra francese Jean-Martin Charcot (1825-1893), nella cui clinica — la Salpêtrière di Parigi — aveva lavorato per alcuni mesi fra il 1884 e il 1885, Freud gli ha attribuito un ruolo decisivo nelle ricerche sull’isteria, pur sottolineando che certe geniali intuizioni, come il rapporto fra sintomi isterici e possessione, non fossero state approfondite e sviluppate ulteriormente da parte di Charcot. Scrive Freud: «Non si potrebbe obiettare che la teoria di una dissociazione della coscienza come soluzione dell’enigma dell’isteria è troppo ardita per imporsi a un osservatore ignaro e impreparato. In realtà, già il medioevo aveva optato per questa soluzione spiegando la causa dei fenomeni isterici con la possessione da parte del demonio; sarebbe bastato dunque sostituire la terminologia religiosa di quell’epoca oscura e superstiziosa con quella scientifica dell’epoca attuale.

Charcot non prese però questa via per spiegare l’isteria, benché avesse ampiamente attinto alle relazioni rimasteci su processi per stregoneria e su individui “posseduti”, allo scopo di dimostrare che le manifestazioni della nevrosi erano, a quei tempi, le stesse di oggi» (6).

Charcot si era occupato anche del tema della possessione nelle arti figurative: convinto della somiglianza fra le rappresentazioni di indemoniati in opere d’arte dei secoli precedenti e i quadri clinici mostrati dai suoi pazienti, aveva fornito un’interpretazione psicopatologica degli indemoniati, considerandoli malati psichici (7). Anche queste tesi, che Charcot aveva esposto in un volume, sono apprezzate da Freud, che scrive: «Com’è noto, nelle rappresentazioni della possessione demoniaca e dell’estasi mistica che l’arte ci ha tramandato, parecchi autori, e primo fra tutti Charcot, hanno riconosciuto le forme in cui si manifesta l’isteria; se a quell’epoca fossero state considerate con più attenzione le storie di quel tipo di malati, non sarebbe stato difficile rintracciare in esse i contenuti tipici della nevrosi» (8).

Non è possibile sorvolare su un grave errore metodologico di Charcot e di Freud, quando pretendono di interpretare come isteria casi di possessione riportati nei Vangeli e nelle vite di santi o estasi mistiche, basandosi sul fatto che le rappresentazioni artistiche mostravano somiglianze con il quadro offerto da pazienti nel corso di crisi isteriche. Charcot definisce addirittura «attaque démoniaque» una particolare crisi isterica. In questo modo Charcot e Freud attribuiscono a tali opere d’arte il valore di documenti autentici degli episodi evangelici o degli stati di estasi, e non tengono assolutamente conto del fatto che esse non rappresentano tanto la realtà, quanto l’idea che l’artista aveva della possessione o dell’estasi, per cui il fatto che il soggetto rappresentato possa effettivamente presentare delle somiglianze con un paziente psichiatrico dimostra solo la limitatezza dell’artista nella scelta del modello, ma non può assolutamente essere invocato come prova per dimostrare che stati di estasi o casi di possessione, verificatisi spesso secoli prima, non fossero che quadri patologici.

2. Le lettere a Fliess

Il tema della demonologia ricompare in due lettere scritte nel 1897 da Freud al suo amico, l’otorinolaringoiatra e biologo Wilhelm Fliess (1858-1928). Esse risalgono a un’epoca in cui Freud dopo un fase in cui si era occupato prevalentemente di pazienti neurologici e aveva pure applicato l’ipnosi nel trattamento di disturbi psicogeni, come le paralisi isteriche, e nella quale aveva sviluppato la tecnica catartica insieme a Josef Breuer (1842-1925), aveva proseguito le sue ricerche praticamente da solo. In questo periodo Fliess rappresenta il più importante interlocutore di Freud, che comunica le sue intuizioni all’amico tanto in una fitta corrispondenza, quanto in incontri regolari, ottenendone pure importanti stimoli.

Nella prima delle due lettere ricordate Freud interpreta la possessione come fenomeno di dissociazione della coscienza. Egli scrive: «Che cosa diresti poi, se ti facessi notare che tutta la mia nuova teoria della preistoria era già nota ed era già stata pubblicata cento volte, anche se parecchi secoli fa? Ti ricordi che ho sempre affermato che la teoria medioevale della possessione, sostenuta dai tribunali ecclesiastici, era identica alla nostra teoria del corpo estraneo e della dissociazione della coscienza? Ma come mai il diavolo che si impossessava delle povere vittime commetteva regolarmente atti di lussuria con loro e in modo ripugnante? E come mai le confessioni che venivano estorte mediante tortura sono tanto simili a quanto mi raccontano le pazienti in trattamento psichico? Al più presto dovrò immergermi nello studio della letteratura sull’argomento» (9).

Nella seconda lettera Freud fa dei passi ulteriori, allorché afferma: «L’idea di chiamare in causa le streghe sta acquistando sempre maggiore vitalità, e secondo me, è anche pertinente. Incominciano ad affollarsi i particolari: trova la spiegazione il “volare”; la scopa che esse cavalcano è probabilmente il grande Pene. Le loro riunioni segrete con danze e intrattenimenti si possono osservare quotidianamente nelle strade ove ci siano bambini intenti a giocare. Un giorno ho letto che l’oro che il diavolo regala alle sue vittime si trasforma regolarmente in sterco; e il giorno appresso il signor E., mentre mi stava raccontando i deliri della sua governante relativi al denaro, tutt’a un tratto mi dice (sulla traccia di Cagliostro [al secolo Giuseppe Balsamo (1743-1795) (ndr)], l’alchimista fabbricatore d’oro-“cacatore di ducati”) che i denari di Louise erano sempre escrementi. Quindi, nelle storie delle streghe esso non fa che ritrasformarsi nella sostanza dalla quale proviene. Se soltanto arrivassi a capire perché, nelle loro confessioni, le streghe affermano sempre che lo sperma del diavolo è “freddo”! Ho ordinato una copia del Malleus maleficarum (10), e ora che ho dato l’ultimo colpo alle paralisi infantili voglio studiarlo accuratamente. Le storie sul diavolo, il vocabolario delle ingiurie popolari, le canzoni e le abitudini dei bambini, tutto acquista ormai senso per me. Potresti, senza affaticarti, suggerirmi qualche buona lettura sull’argomento, sulla base della tua ricca memoria? A proposito delle danze di cui parlano le streghe nelle loro confessioni ricorderei i balli epidemici del Medioevo. La Louise di E. era una strega danzante di questo genere e di conseguenza gliene è tornato per la prima volta il ricordo assistendo a un balletto; di qui la sua paura di andare a teatro. Nel volare e nel fluttuare per l’aria rientrano anche le mosse ginniche compiute dai ragazzi durante l’attacco isterico. Sto incominciando a credere che nella perversione, di cui l’isteria è la negativa, possano esservi residui di un ancestrale culto sessuale, che un tempo può esser stato una religione nell’Oriente semitico (Moloch, Astarte) [...]. Gli atti di perversione sono, del resto sempre gli stessi, hanno sempre un significato preciso e sono basati su un modello che prima o poi si riuscirà a comprendere. Immagino dunque un’ancestrale religione diabolica i cui riti continuano a essere compiuti in segreto, e ora comprendo la severa terapia che usavano i giudici delle streghe. Tutto si ricollega» (11).

È noto che lo sviluppo delle teorie psicoanalitiche è strettamente legato all’autoanalisi di Freud, ed elementi autobiografici dovrebbero svolgere un ruolo importante anche in queste due lettere, scritte a pochi mesi di distanza dalla morte del padre di Freud, avvenuta il 23 ottobre 1896. Questo evento sembra avere segnato profondamente la vita di Freud. Secondo lo psichiatra svizzero Henri Frédéric Ellenberger (1905-1993), «per circa un anno dopo la morte del padre, le sofferenze interiori di Freud si aggravarono, come dimostrano le sue lettere a Fliess. Egli rimuginava giorno e notte sull’apparato psicologico e sull’origine delle nevrosi. Prestò maggiore attenzione alle fantasie di copertura di certi ricordi. Sentiva di essere sul punto di scoprire grandi segreti, o di averli scoperti, ma subito retrocedeva, preso da dubbi. Parlava della sua nevrosi, la sua piccola isteria» (12).

Il problema della morte di parenti prossimi e soprattutto del padre gioca per Freud un ruolo importante nella vita di un uomo. Il tema della morte e del lutto compaiono spesso nelle opere di Freud e desideri di morte costituiscono un punto centrale del complesso di Edipo. A quanto pare il decesso di un persona a cui si è legati mette in moto una serie di meccanismi psichici. Egli afferma: «Il fatto che i dèmoni siano concepiti sempre come spiriti di persone morte di recente costituisce la prova più efficace dell’influenza del lutto sull’origine della credenza nei dèmoni. Al lutto spetta un compito psichico ben determinato: deve staccare dai morti i ricordi e le aspettative dei superstiti. Una volta assolta questa funzione il dolore si attenua, e con esso il rimorso e gli autorimproveri, e quindi anche la paura del demone. Gli stessi spiriti, che inizialmente erano temuti in qualità di dèmoni, vanno ora incontro al lieto destino di essere venerati come antenati e invocati come apportatori di aiuto» (13).

Il fatto che Freud riprenda le interpretazioni della demonologia di Charcot all’inizio del 1897, a distanza di dieci anni dal suo soggiorno a Parigi, e incominci a interessarsi particolarmente del problema della possessione alcuni mesi dopo la morte del padre non è probabilmente casuale. Si può anche supporre che proprio l’esperienza personale lo abbia portato a formulare chiaramente nel passo appena citato la tesi della relazione fra lutto e credenza nei demoni. A sostegno di questa ipotesi si può anche ricordare che Freud nel suo studio Una nevrosi demoniaca nel secolo decimosettimo, su cui tornerò in seguito, ritiene che il pittore Johann Christoph Haitzmann (1651-1700) abbia stipulato un patto con il diavolo proprio durante uno stato depressivo comparso in seguito alla morte del padre.

Si deve ricordare poi che Freud si era occupato intensamente della letteratura demonologica “medioevale”. Personalmente ho posto l’agget tivo medioevale fra virgolette, perché non è chiaro se questa precisazione è esatta. Freud cita di questa letteratura medioevale solo un’opera e cioè il Malleus maleficarum di Kramer e Sprenger, che è stata pubblicata nel 1486. Se si designa il Medioevo come il periodo che va dal 476 al 1492, il Malleus maleficarum è stato effettivamente scritto nel Medioevo, anche se proprio agli sgoccioli. Ma se il libro dev’essere inquadrato nella prospettiva della demonologia e dei processi alle streghe che hanno avuto il loro apice nel XVI e XVII secolo, con episodi addirittura nel XIX secolo, allora il Malleus maleficarum appartiene più agli inizi dell’epoca moderna che non alla fine del Medioevo.

3. La demonologia freudiana

A ogni modo Freud si occupa della letteratura demonologica dei secoli passati e considera l’interpretazione demonologica di disturbi psichici e psicosomatici in un certo senso giusta e più precisa delle interpretazioni puramente organiciste della medicina del suo tempo. Egli afferma: «L’effetto inquietante del mal caduco e della follia ha la stessa origine. Il profano vede qui l’estrinsecazione di forze che non aveva supposto di trovare nel suo prossimo, ma di cui è in grado di percepire oscuramente la presenza in angoli remoti della propria personalità. Con spirito consequenziale e sostanzialmente corretto dal punto di vista psicologico, il Medioevo aveva attribuito tutte queste manifestazioni morbose all’azione di dèmoni» (14).

Rimarchevoli sono pure le considerazioni su una presunta antichissima religione satanica. A quanto pare Freud si sentiva attirato dall’idea che certe forze e attività non fossero state sempre proibite, ma che, in un passato più o meno remoto, fossero state addirittura oggetto di venerazione religiosa. In un’altra sua opera Freud ritiene che i demoni siano stati originariamente divinità, degradate a demoni dopo il successo di altre culture e di altre divinità: «Ma una cosa è certa — scrive —: gli dèi possono diventare demoni malvagi quando nuove divinità li soppiantano» (15).

Questa religione satanica originaria non sarebbe stata estirpata completamente, ma avrebbe mantenuto dei seguaci che avrebbero praticato il loro culto nella clandestinità.

In lettere della fine del 1897 Freud ricorda la situazione edipica come fase fondamentale dello sviluppo infantile e scrive: «In me stesso ho trovato l’innamoramento per la madre e la gelosia per il padre, e ora ritengo che questo sia un evento generale della prima infanzia, anche se non sempre si manifesta tanto presto come nei bambini resi isterici» (16).

In una lettera a Wilhelm Fliess del 5 ottobre di quell’anno Freud ha ammesso che nel suo caso il padre aveva avuto un ruolo meno importante di quello di una bambinaia; egli afferma: «Posso solo dire che, nel mio caso, mio padre non ha alcuna parte attiva, quantunque io riscontri delle analogie tra lui e me; la mia “iniziatrice” fu una donna brutta e vecchia ma astuta, la quale mi parlò molto di Dio e dell’Inferno, e mi diede un’alta opinione delle mie capacità» (17).

In poche parole Freud sintetizza il nucleo delle sue teorie: sono i discorsi su Dio e sull’inferno, così come la trasmissione di una elevata concezione dell’uomo, cioè la formazione di un Io ideale, che portano alla nevrosi. La distinzione fra bene e male, la formazione di un Io ideale, e della coscienza morale porterebbero a un conflitto intrapsichico con la rimozione di certi istinti e rappresentazioni: sintomi nevrotici ne sarebbero la conseguenza inevitabile: «Ogni volta che nello psichico emerge un’ossessione nevrotica, questa proviene da una rimozione» (18).

Nell’Interpretazione dei sogni Freud fornisce una definizione concisa ma significativa del demoniaco. Egli annota infatti: «Il rispetto che i popoli antichi avevano per il sogno è però un omaggio, fondato su un’intuizione psicologica esatta, a ciò che di indomito e di indistruttibile è nell’anima umana, al demoniaco che fornisce il desiderio del sogno e che ritroviamo nel nostro inconscio» (19).

Il demoniaco corrisponde a quella parte della psiche che l’uomo può rimuovere ma non riesce né a dominare completamente né a distruggere. Questa parte non solo rimane attiva nell’inconscio, ma lo domina e cerca in continuazione una via per diventare cosciente, ciò che è possibile per esempio in parte per mezzo dell’attività onirica. La coscienza è talvolta esposta agli attacchi ripetuti di rappresentazioni estranee all’Io che hanno un carattere inquietante e demoniaco. Ciò vale per i pazienti nevrotici ancor più che per le persone sane. Contenuti che si impongono ripetutamente posseggono un carattere ossessivo, come spiega: «Intendo dire che nell’inconscio psichico è riconoscibile il predominio di una coazione a ripetere che procede dai moti pulsionali: questa concezione dipende probabilmente dalla natura più intima delle pulsioni stesse, è abbastanza forte ad imporsi a dispetto del principio di piacere, fornire a determinati aspetti della vita psichica un carattere demoniaco, si esprime ancora assai chiaramente negli impulsi dei bambini in tenera età e domina una parte di ciò che avviene durante il trattamento analitico dei nevrotici. L’insieme di queste considerazioni ci induce a supporre che sarà avvertito come elemento perturbante tutto ciò che può ricordare questa profonda coazione a ripetere» (20).

4. Totem e tabù

Importanti elementi per la comprensione della concezione psicoanalitica del demoniaco li ritroviamo nel suo libro Totem e Tabù. Qui Freud formula la sua famosa tesi sull’origine della religione. La religione si troverebbe all’inizio del processo di civilizzazione, precisamente nel passaggio dallo stato di natura alla civiltà. Per Freud questo passaggio ebbe luogo nell’orda primordiale. Gli ominidi sarebbero vissuti in un’orda primordiale, organizzata come le mandrie animali. Essa sarebbe stata dominata da un maschio che avrebbe preteso per sé il dominio su tutte le femmine dell’orda e dalla quale avrebbe allontanato tutti i figli maschi, non appena questi fossero diventati dei concorrenti pericolosi. Un giorno, però, i figli si sarebbero alleati per eliminare il padre e avrebbero stabilito regole precise per la divisione delle donne. Dopo l’uccisione del padre avrebbero provato rimorso e lo avrebbero innalzato a divinità.

Freud ritiene che anche la fede nei demoni è strettamente legata alla morte. Dopo il decesso di una persona sentimenti aggressivi inconsci nei confronti del defunto si trasformerebbero in sensi di colpa e in ansia per una comprensibile vendetta da parte dell’anima del defunto. Per Freud, «prima di allora gli uomini primitivi avevano sviluppato, mediante la proiezione di percezioni interne verso l’esterno, un’immagine del mondo esterno che noi ora, essendosi affinata la nostra percezione cosciente, dobbiamo ritradurre in psicologia. La proiezione dei propri impulsi malvagi sui dèmoni è soltanto una parte del sistema che divenne la concezione del mondo dei primitivi, sistema che apprenderemo a conoscere nel capitolo seguente sotto il nome di “animismo”» (21).

Nel già citato studio Una nevrosi demoniaca nel secolo decimosettimo Freud analizza un manoscritto proveniente da un luogo di pellegrinaggio, il santuario di Mariazell in Austria, «[...] nel quale era dettagliatamente esposta la storia di una miracolosa liberazione da un patto con il diavolo avvenuta per la grazia della santa Vergine Maria» (22). Si tratta del patto con il diavolo stipulato dal pittore Haitzmann. Freud ritiene che il motivo del patto non era stato, come abitualmente, il desiderio di potere, di ricchezza o di piaceri voluttuosi, ma di un miglioramento di uno stato depressivo con inibizione della produttività, subentrato dopo la morte del padre del pittore. In questo patto il diavolo sarebbe diventato un sostituto del padre: il pittore sarebbe diventato per nove anni “figlio” del diavolo, a cui avrebbe dovuto cedere anima e corpo dopo nove anni. Poco prima della scadenza di questo periodo il pittore si recò a Mariazell per ottenere dal Diavolo con l’aiuto della Madre di Dio la recessione dal patto. Freud sottolinea alla luce delle sue teorie il ruolo del diavolo come sostituto del padre. Il diavolo — come del resto tutte le altre immagini religiose — non sarebbe altro che la proiezione di realtà psichiche. Infatti, egli interpreta che «i demoni sono, a nostro avviso, desideri cattivi, ripudiati, che derivano da moti pulsionali che sono stati respinti e rimossi. Noi non facciamo di più che eliminare la proiezione nel mondo esterno ipotizzata dal Medioevo a proposito di tali entità psichiche; noi riteniamo che esse abbiano avuto origine nella vita intima dei malati dove in effetti dimorano» (23).

Ciò vale anche per la figura di Dio: «Sappiamo innanzitutto — scrive — che Dio è un sostituto del padre, o più precisamente un padre che è stato innalzato, oppure, ancora, è una copia del padre, così come il padre è stato visto e vissuto nell’infanzia, dal singolo nella sua infanzia personale, e dal genere umano, nella sua preistoria , come padre dell’orda primordiale» (24).

Il rapporto con il padre sarebbe caratterizzato da ambivalenza, cioè da sentimenti opposti, che dapprima vengono proiettati solo su Dio e poi, nel corso dello sviluppo, su due figure differenti: su Dio e sul Diavolo. Egli sostiene che «non occorre una grande perspicacia psicoanalitica per arguire che Dio e il diavolo furono originariamente identici, un’unica figura che in seguito fu scissa in due figure dotate di attributi opposti. [...]Comunque le contraddizioni specifiche attinenti alla natura originaria di Dio rispecchiano l’ambivalenza che caratterizza il rapporto del singolo col proprio padre personale. Se il Dio giusto e misericordioso è un sostituto del padre, non c’è da stupirsi che anche l’atteggiamento ostile nei confronti del padre, per cui il figlio lo odia e lo teme e si lamenta di lui, abbia trovato espressione nella creazione di Satana. Il padre sarebbe dunque l’archetipo individuale sia di Dio sia del diavolo. Tuttavia le religioni recherebbero l’impronta indelebile del fatto che il padre primordiale era un essere di illimitata malvagità, meno simile a Dio che al diavolo» (25).

Il dramma dell’uccisione del padre primitivo avrebbe una corrispondenza in ogni esistenza individuale, cioè nella situazione edipica. Per amore della madre il bambino desidererebbe la morte del padre. Per paura che il padre si possa vendicare per questi sentimenti il bambino rimuoverebbe i suoi desideri e formerebbe la coscienza morale. Secondo la teoria psicoanalitica la legge e il patto con Dio rappresenterebbero la capitolazione di fronte al padre nella situazione edipica.

La morte del padre creerebbe una situazione del tutto nuova: sentimenti aggressivi verrebbero mobilizzati durante il lutto e produrrebbero sensi di colpa, che rinforzerebbero la lealtà nei confronti del padre. D’altra parte il figlio non dovrebbe più rispettare norme che gli erano state imposte e rimuovere desideri per paura del padre.

L’alleanza con Dio comporta il rispetto della legge, il sacrificio e la rinuncia a soddisfare istinti e desideri. Secondo la teoria psicoanalitica padre e immagine di Dio sono strettamente legati, per cui la morte del padre corrisponde alla situazione della “morte di Dio”. Fino a quando il padre vive si possono aspettare vantaggi dall’osservanza della legge. Dopo la sua morte può sorgere il sentimento di essere stati abbandonati, di essersi sacrificati invano fino ad allora. L’alleanza con Dio comporta ubbidienza, un uso ordinato e morigerato dei beni materiali e dei piaceri della vita.

“Dio è morto”, come dirà Friedrich Nietzsche (1844-1900): l’uomo deve denunciare il patto con Dio per stipulare il patto con il Diavolo per ottenere fama, ricchezza e piacere dei sensi. Il patto con il Diavolo assume qui un significato particolare: superamento della scissione edipica e fine della rimozione. In queste teorie abbiamo un rovesciamento totale della concezione religiosa, secondo la quale Dio è buono e il Diavolo malvagio. Nella teoria psicoanalitica viene respinta la concezione di Dio come sommo bene e l’immagine di Dio viene rappresentata come qualcosa che rimuove, che opprime la vita, che addirittura rende malati. La via che porta al pieno godimento dei piaceri e della gioia terrena, del superamento del conflitto interiore, della guarigione dalla nevrosi passa attraverso un atteggiamento modificato nei confronti del rimosso e attraverso il patto con il Diavolo. Non mancano tentativi posteriori di interpretare il satanismo come una reazione sana e giustificata contro una falsa immagine di Dio.

L’interpretazione psicologica della demonologia consente anche una interpretazione demonologica della psicoanalisi. Se il malato, e alla fine ogni uomo, si trova nel bel mezzo di un conflitto fra l’ubbidienza al Super-Io, ideale dell’Io, principi superiori e immagine di Dio da una parte ed Es, istinti, contenuti rimossi, demoniaco e diavolo dall’altra, anche l’analista deve confrontarsi con queste forze e quindi con il demoniaco. In questa funzione lo psicoanalista può essere paragonato a un esorcista, anche se con un fine differente. Egli non vuole scacciare i demoni ma mettere fine alla demonizzazione degli istinti e consentire il loro soddisfacimento.

In una lettera allo studioso svizzero Oskar Pfister (1873-1956) Freud confessa: «poiché le altre vie alla sublimazione, con le quali noi sostituiamo la religione, sono troppo difficili per la quasi totalità dei pazienti, la nostra cura sfocia quasi sempre nella ricerca del soddisfacimento» (26).

Questo può capitare in una analisi quando l’analizzato regredisce nella relazione terapeutica e il terapeuta diventa un sostituto del padre che deve consentire al paziente di confidare e di vivere tutti i propri pensieri e desideri senza paura di disapprovazione, di punizione o di rifiuto. In altre parole l’analista si comporta come un padre sostituto che non parla al paziente né di Dio né del diavolo e che non trasmette al paziente una concezione elevata della natura e della vocazione dell’uomo. Louise de Urtubey afferma addirittura: «Freud crede che per riuscire a condurre un’analisi occorra essere una strega. Ritroviamo qui la sua identificazione con la bambinaia-strega, con Charcot, con Faust, con Fliess, con Mefistofele, con il diavolo... La guida di una psicoanalisi non è cosa naturale, bensì magia, opera d’una strega, serva del diavolo» (27).



Note

(1)  Cfr. Sigmund Freud, Opere, trad. it., 13 voll., Boringhieri, Torino, vol. I, 1967, 1886-1895. Studi sull’isteria e altri scritti, pp. 122-133.
(2) Ibid., p. 131.
(3) Ibidem.
(4) Ibidem.
(5) Ibid., p. 128.
(6) S. Freud, Charcot, 1893, trad. it., in Opere, cit., vol. II, 1968, 1892-1899. Progetto di una psicologia e altri scritti, pp. 106-120 (pp. 113-114).
(7) Cfr. Jean-Martin Charcot e Paul Richer (1849-1933), Les démoniaques dans l’art, Delahaye et Lecrosnier, Parigi 1887; reprint, Les démoniaques dans l’art. Suivi de la foi qui guérit de J. M. Charcot, con una Introduzione di Pierre Fédida (1934-2002) e una Postfazione di Georges Didi-Hubermann, Macula, Parigi 1984.
(8) S. Freud, Una nevrosi demoniaca nel secolo decimo settimo, 1922, trad. it., in Opere, cit., vol. IX, 1977, 1917-1923. L’Io e l’Es e altri scritti, pp. 521-558 (p. 525).
(9) Idem, Lettera a Wilhelm Fliess, del 17-8-1897, trad. it., in Idem, Lettere a Wilhelm Fliess. 1887-1904, ed. integrale, a cura di Jeffrey Moussaieff Masson, con note aggiuntive di Michael Schroter, Bollati Boringhieri, Torino 1990, p. 255.
(10) Il martello delle streghe è un testo redatto nel 1486 dai frati domenicani Jacob Sprenger (1436-1495), collaboratore dell’Inquisitore Straordinario del Sacro Romano Impero nelle province di Magonza, Treviri e Colonia, e Heinrich “Institor” Kramer (1430-1505), Grande Inquisitore del Sacro Romano Impero in Tirolo, nel Salisburghese e in Boemia, allo scopo di reprimere l’eresia e la stregoneria (ndr).
(11) S. Freud, Lettera, del 24-1-1897, in Lettere a Wilhelm Fliess, cit., pp. 257-258.
(12) Henri F.[rédéric] Ellenberger, La scoperta dell’inconscio. Storia della psichiatria dinamica, trad. it., Boringhieri, Torino 1976, p. 513.
(13) S. Freud, Totem e Tabù. Concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici, trad. it., in Opere, cit., vol. VII, 1975, 1912-1914. Totem e Tabù e altri scritti, pp. 1-164 (p. 72).
(14) Idem, Il perturbante, 1919, trad. it., in Opere, cit., vol. IX, 1917-1923. L’Io e l’Es e altri scritti, cit., pp. 77-118 (p. 104).
(15) Idem, Una nevrosi demoniaca nel secolo decimo settimo, cit., pp. 339-340.
(16) Idem, Lettera del 15-10-1897, in Epistolari, cit., pp. 305-308 (p. 306).
(17) Idem, Lettera del 3-10-1897, ibid., pp. 301-304 (p. 302).
(18) Idem, Nuove osservazioni sulle neuropsicosi da difesa, 1896, trad. it., in Opere, cit., vol. II, 1968, 1892-1898. Progetto di una psicologia e altri scritti, cit., p. 315.
(19) Idem, L’interpretazione dei sogni, 1900, trad. it., Boringhieri, Torino 1967, p. 558.
(20) Idem, Il perturbante, cit., p. 99.
(21) Idem, Totem e Tabù, cit., pp. 71-72.
(22) Idem, Una nevrosi demoniaca, cit., p. 527.
(23) Ibid., pp. 525-526.
(24) Ibid., p. 539.
(25) Ibid., p. 540.
(26) Idem, Lettera del 9-2-1909, trad. it., in S. Freud e Oskar Pfister, L’avvenire di un’illusione. L’illusione di un avvenire, Bollati Boringhieri, Torino 1990, pp. 162-163 (p. 163).
(27) Louise De Urtubey, Freud e il diavolo, trad. it., Astrolabio, Roma 1984, p. 145.