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INDICE DEL N. 2


C O N F R O N T I
anno I, n. 2, novembre-dicembre 2009

Giovanni Formicola


Eutanasia e
«testamento biologico»:
la via giudiziaria
al «diritto alla morte»

«Il Signore Dio disse allora: “Ecco l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre!» (Gen., 3, 22).

Plutarco di Cheronea (46-127 ca.), uno dei maestri di cui l’Europa è dimentica, nel suo De sera numinis vindicta, ricorda che «Gelone [tiranno di Siracusa, V sec. a.C.] quando i Cartaginesi, vinti in una grande battaglia [Imera, in Sicilia, 480 a.C.], gli chiesero la pace, la rifiutò, ponendo come condizione che s’impegnassero, se la desideravano, a non sacrificare più i loro figli a Saturno» (1). Notizia certamente verosimile (2), se Fernand Braudel (1902-1985) ci parla della famelica dea cartaginese Tanit (3), cui i cartaginesi immolavano, «per scongiurare un pericolo […] i figli dei cittadini più illustri. Così accadde quando Agatocle [tiranno di Siracusa (360-289 a.C. ca.)] […] portò la guerra sul suolo stesso di Cartagine [fra il 308 e il 307 a.C., al tempo dunque della CXV Olimpiade]. In quella occasione, poiché alcuni maggiorenti commisero il sacrilegio di sostituire ai propri figli dei bambini comprati, fu deciso un sacrificio espiatorio di duecento fanciulli» (4). Questi tributi di sangue umano, versato sugli altari in sacrificio a qualche numen, a qualche idolum, non erano certamente una eccezione. A prescindere dalla soppressione dei nati malformati, precipitati o meno che fossero dai vari “Monte Taigeto”, si ricordano i sacrifici umani in uso fra i cananei di Biblo, fra i galli al dio Teutate — il Marte dei celti —, fra i germani al dio Irminsul, anche se forse rimangono insuperate le autentiche ecatombi umane proprie dei mondi delle Americhe pre-colombiane, in particolare fra gli Aztechi: «Ad esempio si dice che il re azteco Ahuitzotl avesse organizzato il massacro di 80.400 prigionieri durante un sacrificio umano durato quattro giorni per l’inaugurazione nel 1487 del grande tempio di Huitzilopochtli [il “dio-colibrì”] a Tenochtitlàn [il nome azteco di Città del Messico], un vero e proprio exploit nel campo dell’assassinio rituale» (5). E come confermano le memorie di Bernal Diaz del Castillo (1492-1584), uno dei compagni di Hernán Cortés (1485-1547), «[…] davanti al santuario vedemmo che a molti dei nostri disgraziati compagni misero in testa delle gran piume e poi con delle specie di ventarole li fecero ballare davanti a Huichilobos; finito il ballo, li misero di spalle sopra le pietre degli altari e con certi coltellacci di quarzo li spaccarono per mezzo il petto e ne cavarono fuori i cuori caldi che offrirono ai loro idoli» (6). Forse — sia detto incidenter tantum — fu per queste tipiche usanze che i veri protagonisti della “liberazione” del Messico, insieme con i conquistadores, furono altre popolazioni indigene assoggettate o minacciate dagli aztechi: Campoaltechi, Tlaxcaltechi, Texcucani, Zapotechi, Otomi e Taraschi (7). Si potrebbe continuare con gli esempi della diffusione dei sacrifici umani: quelli nelle regioni più remote di Africa e Oceania, quelli delle vedove e dei servitori dei defunti immolati (fino a tempi recenti) in occasione dei funerali in India, quelli (non sempre) simulati in immagine in Cina e in Egitto, il tutto non senza il complemento frequente di cannibalismo rituale sulle spoglie delle vittime. Quel che importa è rilevare come a fronte di una diffusione praticamente universale — e non solo in epoche “alte” — dei sacrifici umani, di un solo popolo, di una sola cultura e civiltà si ha notizia della presenza nei suoi testi e nella sua tradizione sacri di un’esplicita proibizione del sacrificio umano, espressa nel linguaggio simbolico della storia del mancato sacrificio da parte di Abramo del figlio Isacco, che Dio stesso, dopo aver messo alla prova la sua obbedienza, gli fa sapere tramite un messaggero di non volere, di non gradire (Gn 22, 1-14).

Ma è anche evidente la ragione della diffusione dei sacrifici umani: di fronte all’esigenza di propiziare la Divinità — talvolta “mandandole” la vittima come latrice di un messaggio, secondo le usanze africane diffuse nel Benin — per «il riscatto della collettività», per la salvezza della comunità, questa le offre in olocausto, quale “prezzo” del proprio riscatto e per ottenerne la benevolenza, quanto ha di più prezioso, il sangue umano, spesso traendolo da se stessa, come “parte di sé”.

Se appena si riflette al sacrificio di Cristo sulla croce, avvenuto nella piena inconsapevolezza da parte dei carnefici — «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34) — e nella piena libertà obbediente e volontà amorosa della vittima — «io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio» (Gv 10, 17-18); e «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13) —, che si offre e versa il proprio sangue e muore, Uomo-Dio, olocausto per la espiazione definitiva dei peccati e prezzo congruo per il riscatto dell’intera umanità, di tutti i tempi e in tutti i luoghi. E se si riflette alla ininterrotta, da quel giorno, ri-attualizzazione incruenta e quotidiana di tale sacrificio “umano” (e divino), allora si comprende, anche sul piano culturale, come e perché, dall’originario rifiuto d’Israele e da quello “conquistato” da parte dell’Occidente greco-romano, l’espansione dell’erede di queste grandi culture e civiltà — che perfeziona con il proprio apporto originale —, il cristianesimo divenuto cristianità, abbia progressivamente portato, fra l’altro, all’estinzione dei sacrifici umani divenuti anche inutili e superflui di fronte al Sacrificio —, senza che questo comportasse il rifiuto del tributo che gli uomini debbono a Dio, pagando un prezzo adeguato per il proprio riscatto.

Ma da qualche tempo i sacrifici umani si stanno prendendo la rivincita. Solo che anziché sull’altare di una qualche divinità, di idola o numina ignoti e non visibili, tendono ad essere consumati sull’altare dell’Uomo fattosi idolo di se stesso.

Prima sul piano — inavvertito e incruento — della “filosofia”, e cioè della rappresentazione dell’universo, dell’humanum, della vita e della storia da parte dell’uomo. Un simbolo, prima che una realtà. Testimone ne è il “disappunto” kantiano — espresso nelle Idee zu einer allgemeinen Geschichte in Weltbügerlicher Absicht (Idee circa una storia universale in prospettiva cosmopolitica) (8) —, nel constatare che, dalla sua concezione della storia come «progresso infinito […] verso la perfezione», risulta — commenta Eric Voegelin (1901-1985) — «che le generazioni precedenti dell’umanità siano, per così dire, solo i gradi, passando per i quali, l’ultima generazione perfetta perviene alla sua meta» (9). Insomma, tutte le generazioni precedenti sono — “filosoficamente”, beninteso — “sacrificate” alla perfezione di quelle future, così negando, checché ne dica la vulgata kantiana, il valore irripetibile e non strumentalizzabile della persona umana, di ogni persona umana.

Naturalmente questo pensiero ha un profilo e una direttrice chiara: esso tende a negare la dipendenza dell’uomo da Dio, e quindi rifiuta la sottomissione alla Sua Volontà, espressa anche nell’ordine del reale. Tende, in definitiva, all’auto-divinizzazione dell’uomo mediante l’“assassinio di Dio”. Presto si manifesterà, secondo il presagio che aveva indotto in Kant un certo “disappunto”, come gli uomini che si riconoscono in questa prospettiva, che accettano l’“assassinio di Dio”, avranno eretto l’idolum più assetato di sangue umano e insaziabile divoratore di carne umana che la storia abbia mai conosciuto.

Infatti, come genialmente osserva Carl Schmitt (1888-1985), in uno scritto del 1944, dalla pretesa dell’uomo di essere “dio” di se stesso — cioè pienamente autonomo e libero di volere: quello «che filosofi e demagoghi elevano a misura assoluta di tutte le cose» —, dal rifiuto di «ogni relativizzazione dell’uomo fondata sulla trascendenza e sull’aldilà», si giunge al “Super-uomo”, che «porta immediatamente con sé, come suo gemello dialettico […] il sotto-uomo» (10). Se Dio c’è, ogni uomo è solo (si fa per dire) un uomo; ma se il Cielo viene svuotato, chi occupa il posto di Dio può farlo solo differenziandosi da altri uomini che non possono che diventare sotto-uomini: ebrei, borghesi, credenti… feti ed embrioni, e i gravemente menomati e malati, i non autosufficienti, le Eluana Englaro (1970-2009) e le Terri Schindler Schiavo (1963-2005), mutilati nei loro diritti, primo fra tutti quello alla vita.

Così esprime lo stesso concetto lo scrittore anglo-irlandese Clive Staples Lewis (1898-1963): «[…] il potere dell’Uomo sulla Natura vuol dire il potere di alcuni uomini, che si servono della Natura come di uno strumento, su altri uomini» (11).

Praticamente, quasi gli stessi termini utilizzati dal cardinale Joseph Ratzinger: «[...] il principio di comportamento, secondo cui è lecito all’uomo fare tutto ciò che è in grado di fare, si afferma sempre di più. […] così nascono nuove oppressioni, e nasce una nuova classe dominante. Ultimamente, del destino degli altri uomini, decidono coloro che dispongono del potere scientifico e coloro che amministrano i mezzi» (12).

Georg Friedrich Hegel (1770-1831), Karl Marx (1818-1883) e Friedrich Nietzsche (1844-1900), ognuno a suo modo, perfezioneranno l’opus magnum, come lo definisce Voegelin (13), dell’“assassinio di Dio”, che ha una sua formulazione icastica nella tesi, di ispirazione feuerbachiana, che Marx enuncia nel suo Per la critica della filosofia del diritto di Hegel: «La critica della religione finisce con la dottrina per cui l’uomo è per l’uomo l’essere supremo» (14).

Uno degli effetti dei loro “pensierini” è stato la formazione d’ideologie che pretendevano di costituire la soluzione all’equazione della storia, la cui attuazione avrebbe instaurato da parte dell’Uomo il regno (paradisiaco) dell’Uomo auto-redento e quindi auto-sufficiente, mediante il sacrificio di un numero non precisato di uomini — individuati su base razziale, etnica, sociale — per la (auto) salvezza dell’umanità.

Il loro fallimento sembra aver condotto da un lato all’abbandono dei progetti di salvezza collettiva, dall’altro alla rinuncia al laboratorio storico-politico come luogo di sperimentazione per la nascita dell’“Uomo nuovo” e “salvato”, cioè “perfetto”. Ma — pare — non ha indotto a tornare alla sottomissione a Dio e alla sua volontà, cioè all’ordine e alla legge naturali, per cominciare.

Strumento privilegiato che induce gli uomini di oggi — con minore o maggiore consapevolezza — a perseguire lo stesso disegno di auto-divinizzazione, sia pure per vie e con prospettive diverse, è la tecnica. In particolare, le biotecnologie, che finalmente conferiscono — o stanno per conferire — un potere radicale sulla vita e sulla morte, il cui “mistero”, non inteso come ciò che non può essere conosciuto, ma come ciò che non può essere manipolato, sta per essere, se non è già stato, violato. E la tecnica — quindi anche le biotecnologie — di sua natura è nichilista — non tollerando fini, ragioni, sensi “ultimi”, dovendo rispondere solo alla domanda “come”, e non già a quella “perché” —, ed edonista — essendo regolata soltanto dal principio di utilità.

Finalmente, come intuì sempre Carl Schmitt in una di quelle condizioni — la prigionia — che possono aiutare gli uomini profondi ad accostarsi meglio alla verità, le biotecnologie consentono all’uomo che vuole superare se stesso di riuscirci in un modo particolare: «[…] non sarà più generato e non più concepito e non più partorito» (15). Così l’uomo sarà emancipato dall’ultima dipendenza: «Impareremo a riprodurci senza la copula», perché «quali sono le cose che offendono maggiormente la dignità dell’uomo? Sono la nascita, la procreazione e la morte» (16).

I “bioetici faustiani”, come sono stati definiti e non solo allusivamente essendo ben presente nel Faust di Wolfgang Goethe (1749-1832) il proposito di “fabbricare” un uomo in laboratorio , sono fermamente intenzionati a usare questo potere, senza alcun limite. E la giustificazione non è più — e questo sembra loro bastare per redimere il progetto — la salvezza definitiva dell’umanità — che sarebbe un fine ideologico , ma più semplicemente la salvezza individuale da malattie e deficienze concrete — a cominciare dalla sterilità, patologica o fisiologica che sia –, che procurano disagio e sofferenza. Salvare l’uomo dalla «lotteria della nascita» (17).

E per questa “salvezza” si torna a pagare il prezzo del sacrificio umano, del sacrificio di quei “non-uomini” o “sotto-uomini” — categoria necessaria, che prende il posto dei semplicemente inermi, da quando si sacrifica all’uomo diventato “super”, e cioè idolum di se stesso, e non più a un qualche numen —, che sono gli embrioni — di volta in volta immolati, o selezionati in un delirio di perfezione, per consentire una nascita, ovvero una guarigione. O che sono gli ormai indegni di vivere, che si auto-sacrificano per usurpare — come soggetti che decidono, si autodeterminano — la signoria sulla vita, che loro non spetterebbe perché non se la sono data, togliendosela — come soggetti che non la vogliono più —, estrema protesta contro quel Dio che non ci ha preservato dal male e dai mali.

Allora appare chiaro come “l’uomo essere supremo per l’uomo”, essendosi finalmente liberato dalla “tirannia” divina, non significhi altro che “un uomo — o una categoria umana: i nati o quelli che possono nascere; i sani e i perfetti — essere supremo per gli altri uomini”.

Dunque, la fine delle ideologie non ha posto fine alla loro aura culturale, quell’“egotismo” che il pensatore statunitense Georges Santayana (1863-1952) definisce «come soggettivismo-volontarismo del pensiero e della morale […] il quale si illude che la psiche sia in grado di possedere la forza e la dirittura morale per imporsi sul mondo [cioè che alla volontà umana basti se stessa e bastino i mezzi — la tecnica — per attuarsi] […]. L’egotismo è ribelle alla saggezza dello spirito, la cui funzione è di adattare la natura umana ai fatti […]. Lo Spirito che è diventato “egotista” scambia i suoi pensieri sul mondo per il mondo stesso e regredisce dalla moralità razionale al dettato pre-razionale della passione» (18). Tale “aura” spirituale trasforma il desiderio in diritto e il sentimento — il “dettato pre-razionale della passione” —, quale che ne sia la natura, dalla pietà per il malato all’afflato materno insoddisfatto, in fondamento della pretesa. E la possibilità tecnica di soddisfare e l’uno e l’altro ne assevera la legittimità.

Ma vittime del nuovo “dio” non sono soltanto i “riccioli di materia” — come qualcuno ha definito quell’embrione ch’egli stesso, che io stesso, che tutti noi siamo stati —, o i malati, a lui sacrificati per la sua salvezza, ma lo stesso “uomo nuovo”, o “Super-uomo”. E non solo perché si degrada a “cannibale”, ancorché non se ne accorga o rifiuti di accorgersene, perché il sofisma-alibi è sempre pronto: da un lato, “l’embrione non è un essere umano”, là dove la scienza — ma in fondo bastava la logica — ha dimostrato che ogni embrione è un individuo della specie umana e quindi persona, cui niente sarà aggiunto se non il tempo ed il nutrimento per quello sviluppo che comunque è in corso per ciascuno di noi; dall’altro, “ci sono vite indegne di essere vissute”.

Infatti, per emanciparsi da Dio Creatore la filosofia ha preferito pensare l’uomo come risultato di una cieca ed insensata evoluzione della materia, riducendolo quindi da anima (immortale) definitivamente incarnata, creata a “immagine” di Dio e a lui somigliante, a un “ricciolo di materia” solo un po’ più strutturata e specificata. Così, per farsi da pro-creatore — il che implica una dipendenza — “creatore”, non solo l’uomo si è trasformato in un prodotto — e come tale soggetto a un controllo e a una selezione di qualità, come una qualunque res —, ma per rendere sostenibile il quadro ha dovuto ridurre la vita, banalizzandola oltre misura, a qualcosa di cui desiderare solo il «prolungamento […] e il miglioramento della sua qualità», là dove evidentemente questa consiste nel benessere psico-fisico-sociale, non potendosi, secondo lo stesso autore della precedente affermazione, Massimo Piattelli Palmarini, considerare «l’esistenza umana un frammento di un qualche più alto disegno» (19). In tale prospettiva, sia detto fra parentesi, si dovrebbero de-intitolare quasi tutti i luoghi del nostro panorama urbano e sgomberarli da ogni monumento, essendo di solito titoli e monumenti riferiti a soggetti che — a torto o a ragione — sono considerati esemplari proprio perché hanno impiegato la vita ritenendola una missione al servizio di “un qualche più alto disegno”, non badando al rischio di abbreviarne la durata o di peggiorarne la qualità in termini di benessere materiale. Il “prezzo”, l’autentico sacrificio umano, appare davvero eccessivo, in termini di riduzione dell’humanum e del suo valore specifico: se è vero che «da oggi in poi l’uomo è il solo creatore possibile delle proprie leggi e il solo costruttore possibile della propria storia»; se è vero che «l’uomo è il nuovo legislatore, e sulle tavole cancellate del passato egli scriverà le “nuove scoperte” della morale»; è allora altresì vero che «ciò suona come un incubo nichilistico» (20). Detto altrimenti, l’uomo affetto da questo tipo di nosema, di malattia spirituale, che è l’“egotismo”, è nella stessa condizione dell’Empedocle di Nietzsche: «Come divinità vorrebbe aiutare; come uomo, pietosamente vorrebbe distruggere. Come demone egli distrugge se stesso» (21). Di tutto questo, le possibilità offerte dalle moderne biotecnologie, e una bioetica che si pieghi a esse e si faccia partecipe delle loro qualità, senza subordinarle a “un qualche disegno più alto”, e cioè che si connoti come nichilista/edonista, costituiscono la traccia e insieme la realizzazione più inquietanti.


Il medico svizzero Leonardo Conti (1900-1945), Reichsgesundheitsführer delle SS e responsabile della Sanità del Terzo Reich, corresponsabile del programma nazionalsocialista di eutanasia forzata dei malati di mente; fautore degli esperimenti medici sui prigionieri dei campi di concentramento: una ulteriore testimonianza vivente del legame fra mentalità eutanasica, eugenetica e nazionalsocialismo.



Note

(1) Plutarco, De sera numinis vindicta, VI, 552 A.
(2) Cfr. pure il dialogo “minore” di Platone (427 a.C.-347 a.C.) Minosse: «Presso di noi, ad esempio, è fuori legge compiere sacrifici umani: sarebbe anzi un’empietà; mentre i cartaginesi compiono sacrifici umani come santa e legittima cosa, e alcuni d’essi giungono persino a sacrificare i propri figli» (315, b-c).
(3) Oggi è il nome di un decoroso — non più che decoroso — vino “da meditazione”.
(4) Fernand Braudel, Il Mediterraneo. Lo spazio la storia gli uomini le tradizioni, 1985, trad. it., Bompiani, Milano 2002, pp. 78-79.
(5) Victor Davis Hanson, Massacri e cultura. Le battaglie che hanno portato la civiltà occidentale a dominare il mondo, trad. it., Garzanti, Milano 2002, p. 234.
(6) Bernal Diaz Del Castillo, La conquista del Messico. 1517-1521, trad. it., Longanesi, Milano 1980, p. 436.
(7) Cfr. Jean Dumont (1923-2001), Il Vangelo nelle Americhe. Dalla barbarie alla civiltà, trad. it., effedieffe, Milano 1992, pp. 66-67.
(8) Cfr. Immanuel Kant (1724-1804), Idee zu einer allgemeinen Geschichte in weltbürgerlicher Absicht, 1784, trad. it., Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Idem, Scritti di storia, politica e diritto, a cura di Filippo Gonnelli, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 29-44.
(9) Eric Voegelin (1901-1985), Anamnesis. Teoria della storia e della politica, trad. it., Giuffrè, Milano 1972, p. 22.
(10) Carl Schmitt, Donoso Cortés interpretato in una prospettiva paneuropea, trad. it., Adelphi, Milano 1996, pp. 112-113.
(11) Clive Staples Lewis, Quell’orribile forza. Una favola moderna per adulti, 1945, trad. it., Adelphi, Milano 1999, p. 236.
(12) Card. Joseph Ratzinger, Discorso L’Europa Unita e il Nuovo Ordine Mondiale, in The European House-Ambrosetti, ForumLo scenario di oggi e di domani per le strategie competitive”, Villa d’Este, Cernobbio (Como), 8 settembre 2001; ora con il titolo Riflessioni sull’Europa, in Idem, Europa. I suoi fondamenti oggi e domani, trad. it., Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2004, pp. 31-39 (pp. 36-37).
(13) Cfr. E. Voegelin, Il mito del mondo nuovo. Saggi sui movimenti rivoluzionari del nostro tempo, 1959-1960, trad. it., Rusconi, Milano 1976, pp. 112-136.
(14) Cit. in Fernando Ocáriz [Braña], Il marxismo ideologia della rivoluzione, trad. it., Ares, Milano 1977, p. 78.
(15) C. Schmitt, Ex Captivitate Salus. Esperienze degli anni 1945-47, 1950, trad. it., Adelphi, Milano 1993, p. 88.
(16) C. S. Lewis, op. cit., p. 229 e p. 231.
(17) Cfr. «[...] non è possibile che gli individui [...] siano “soggetti alla lotteria della nascita”» (Walter Veltroni, Una sinistra aperta e moderna, Platea congressuale dei Democratici di Sinistra, Fiera di Roma, 6 novembre 1998, nell’inserto l’Unità Documenti, in l’Unità. Giornale fondato da Antonio Gramsci. Quotidiano di politica, economia e cultura, anno LXXV, n. 260, Roma 7-11-1998, pp. 1-25 (p. 19). La tesi è ripresa dal filosofo neocontrattualista americano John Rawls (1922-2002).
(18) E. Voegelin, Nietzsche, la crisi e la guerra, in Idem, Anni di guerra. Per una comprensione dei conflitti nel XX secolo, 1944, trad. it., Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2001, pp. 66-67).
(19) Per una diversa opinione, cfr. Pietro De Marco, Il nodo del sommo bene e il confine della riduzione della sofferenza, in Il Foglio quotidiano, 14-2-2004.
(20) E. Voegelin, Anni di guerra. Per una comprensione dei conflitti nel XX secolo, cit., p. 170.
(21) F. Nietzsche, Entwürfe zu einen Drama “Empedokles” (1870-1871), cit. ibidem, p. 70.