HOME PAGE
INDICE DEL N. 4

IN FORMATO .PDF


E D I T O R I A L E
anno II, n. 4, marzo-aprile 2010

Un giro d'orizzonte

Mi sia consentito, in questo numero primaverile, di gettare uno sguardo — senza pretesa di esaurire il panorama, né, ancora, di andare a fondo di alcunché — a quanto è accaduto intorno a noi in questi ultimi mesi, cercando d’individuarvi quegli accadimenti che si elevano, di poco o di tanto — più spesso, come segnalato in altra occasione, di assai poco — rispetto all’ordinarietà. Si tratta di fatti che confermano linee di tendenza già presenti, piuttosto che segnalare mutamenti o fenomeni nuovi. In ogni modo, pare opportuno rilevarli e darne una lettura possibilmente unificante, che si ponga peraltro in una prospettiva diametralmente opposta all’ammorbante «politicamente corretto» che invade sempre più ogni canale mediatico.

Parto dalla Chiesa cattolica e dal monstrum mediatico che si viene costruendo, ingigantendo ogni giorno di più, intorno alla dolorosa vicenda dei comportamenti sessuali abnormi praticati da persone del clero cattolico. La vicenda è quanto mai aggrovigliata, ma alcuni aspetti ne risaltano alquanto nitidi.

Due sono le leve attivate dal sistema mediatico in questa vicenda: la prima sta nell’associare il comportamento deviante di un soggetto specifico non al medesimo soggetto, ma all’intero ordine di soggetti cui appartiene e, quindi, nel rendere il medesimo comportamento non frutto di opzioni individuali aberranti, bensì di un modello stesso di credenze, di vita e di formazione propri del gruppo. Il teorema architettato è il seguente: prete indegno, quindi stato clericale in quanto tale indegno, indegno perché esistono la nozione di peccato e il celibato che la Chiesa latina continua anacronisticamente a propugnare.

L’altra leva, usata per aumentare la forza del colpo inferto, è la tesi — già molto nota nel nostro Paese a partire da quell’altra mostruosità giuridico-mediatica che fu «Tangentopoli» — secondo cui l’autorità ecclesiastica «non poteva non sapere», ergo ha coperto il prete indegno divenendone così corresponsabile: è evidentissimo che, essendo la Chiesa cattolica una società gerarchica e «verticale», non vi è poi limite nella risalita lungo la «catena del comando» al culmine della quale sta il Pontefice.

Lo scopo dell’attacco — o, meglio, del rilancio di vecchie accuse e polemiche contro il cattolicesimo — è palese: denigrare quest’ultimo, ma in generale il cristianesimo e, addirittura, la stessa opzione religiosa in quanto tale per almeno tre ragioni, subordinate fra loro: perché lo ha scritto molto bene l’ex sindaco di New York, l’ebreo osservante Ed Koch, nel suo blog (<http:// cgis. jpost. com/ Blogs/ koch/ entry/ he_ that_ is_ without_ sin>) la Chiesa è di suo un’agenzia che veicola valori «forti», che si contrappongono in maniera frontale all’essenza nichilistica del pensiero e dell’ethos della post-modernità; perché la linea pastorale ferma di Papa Benedetto, in specifico il suo sforzo di restaurare una retta lettura del Concilio e di restaurare l’intellectus fidei, è quanto mai sgradita a determinati ambienti; infine causa occasionale , perché l’episcopato americano si è schierato in maniera decisa contro la riforma sanitaria filo-abortista di Barack Hussein Obama. Per questo certi ormai impolverati dossier hanno fatto la loro ricomparsa.

Quanto alla sostanza, l’amico Massimo Introvigne ha messo bene a fuoco con la consueta acribia la natura e i limiti della vicenda. Riassumendo, si tratta in primis di controversie apertesi soprattutto in America in anni ormai remoti e portate avanti a livello giudiziario ora nel silenzio mediatico, ora con improvvise «riprese» d’interesse. Quindi, non tutti gli abusi sessuali perpetrati su minori sono da considerarsi pedofilia e non tutti sono a sfondo omosessuale, anche se quest’ultima tendenza è quella fortemente prevalente. Se un prete ha rapporti con una fanciulla diciassettenne, non è certo una bella cosa, ma è una cosa alquanto diversa dall’abusare di fanciulli di sesso maschile. Ancora, le statistiche mostrano che il fenomeno pedofilia esiste — e va estirpato —, ma non investe i preti cattolici più di quanto non coinvolga i ministri di altri culti — quindi il celibato cattolico non c’entra: c’entra magari il degrado morale generale diffuso — oppure altre categorie di persone abitualmente a contatto con i minori, dagli allenatori sportivi agli educatori. Infine, non tutti gli accusati sono poi portati in giudizio: in molti casi si è trattato di calunnie strumentali. Né soprattutto chi vi incorre viene poi condannato: anzi, il numero di condanne è realmente irrisorio.

Riguardo alle eventuali «coperture», senza negare che una casistica si sia data almeno fino a una certa epoca, va rammentato che la Chiesa non può essere concepita come un esercito, in cui tutto avviene mediante impulsi dell’autorità e in un totale controllo gerarchico formale. La Chiesa ha una gerarchia ed esiste un’autorità al suo interno, ma è impensabile che essa si esplichi in maniera totalitaria, anzi… Il rapporto fra il prete e il suo vescovo, anche se episcopus significa «sovraintendente», si deve vedere come un rapporto da figlio a padre e l’obbligo di vigilanza che incombe a quest’ultimo non si può ridurre a un controllo poliziesco, così come non ci si può meravigliare — quante volte accade nell’ambito della genitorialità profana? — se un padre tende a coprire, a scusare, a sanare di suo le colpe di un figlio. Se casi di abuso vi sono stati e vi sono per certo stati , a mio avviso competeva e compete primariamente alle vittime e ai loro congiunti o tutori il dovere d’intervenire legalmente, facendolo senza guardare minimamente in faccia qual era lo status del presunto colpevole, ma, se cattolici, cercando comunque di salvaguardare nella misura del possibile la carità e l’immagine della comunità. Pensare che i vescovi si facciano automaticamente denunciatori di eventuali loro preti acclaratamente indegni postula che essi siano al corrente dei fatti — e non sempre ciò accade — e, se sanno, che essi abbiano titolo esclusivo — e ciò non è — a procedere alla denuncia all’autorità civile. Non si riaffaccia forse qui, in una classica eterogenesi dei fini, il fantasma di quell’«affidamento al braccio secolare», tipico dei tribunali dell’Inquisizione, che fin dalla scuola dell’obbligo s’insegna a esecrare?

Qualcuno — il francescano padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Curia vaticana —, con grande scandalo degl’interessati, ha poi osato paragonare l’atteggiamento falsamente moralistico e realmente anticristiano retrostante alla vicenda dei «preti pedofili» all’antisemitismo, che inizia calunniando l’ebreo per poi, alla fine, tentare di annientarlo completamente. E nell’accostamento vi è un nucleo di verità. Mi pare che le somiglianze fra i due atteggiamenti siano da vedersi altresì nel modo con cui le accuse di antisemitismo, esattamente come quelle di pedofilia, vengono a intermittenza scagliate, dosandole con cura, contro questo o quel bersaglio ecclesiale a seconda delle necessità, si tratti di Pio XII oppure di altri uomini di Chiesa: si dice e non si dice, si osa e si lascia intendere, ci s’indigna e si argomenta, ci si accende e ci si acquieta. In entrambi i casi si tratta a mio avviso lo scandalo si trasforma in un’arma impropria, in un colpo sotto la cintura, molto doloroso e che viene sferrato per far male: la realtà della colpa non conta, l’importante è che chi è investito rimanga offeso, la sua «immagine» una volta si diceva «onore» sporcata. Come nel caso dell’antisemitismo e della cosiddetta omofobia, si stanno costituendo gruppi ben organizzati di più o meno autentiche «vittime», le quali, con l’assistenza di robusti staff di avvocati specializzati, si rivolgono sempre più spesso e con successo ai tribunali civili per spuntare congrui risarcimenti. Ma prima ancora ricorrono ai media — perennemente in cerca di «scandali», ergo sempre disponibili a «indossare» le accuse —, perché è lì che si ottiene il maggior effetto diffamatorio.

Ancora un punto. Spesso si dimentica che Papa Benedetto, mentre confessa il peccato commesso di alcuni membri della Chiesa e ne chiede perdono a Dio e alle vittime in loro nome, non evita mai di aggiungere che certi fatti sono potuti accadere a causa della crisi che ha investito la Chiesa successivamente al Concilio Vaticano II (1962-1965). Se la sessualità disordinata non è più stata stigmatizzata con la forza dovuta, se l’omosessualità anche nel clero è stata in certa misura tollerata in quanto portato di quella modernità con la quale era obbligatorio «mettersi in dialogo», questo è anche, secondo il Papa, frutto del clima di lassismo in materia sessuale che si respirava nella Chiesa in quegli anni post-conciliari e questo non può non aver avuto un impatto anche sulla formazione e sulla saldezza morale del clero cattolico.

Vi è infine da osservare — e lo fa molto bene Alain Besançon in una intervista a il Foglio quotidiano del 24 marzo scorso — che, sia nel caso dell’antisemitismo, sia in quello del comportamento presuntamente pedofilo di membri del clero, si tratta di azioni che il mondo moderno unanimemente ricollega al culmine dell’orrore e considera l’abominio assoluto. Ma, si chiede il filosofo francese, perché solo la pedofilia e l’antisemitismo e, aggiungo, il razzismo ? Perché il disordine sessuale, la pratica omosessuale, la pornografia più bestiale vanno bene e la pedofilia no? perché antisemitismo no e anticristianesimo sì? perché razzismo no e dissoluzione legale della famiglia, aborto, eutanasia, suicidio sì?

 

Passando ad altro argomento, ma restando sempre fra i temi generali, si è assistito a un revival del dibattito e della disputa sull’evoluzionismo nato sulla spinta del secondo centenario — nel 2009 — della nascita di Charles Darwin (†1882). Dico revival perché ricordo un’altra stagione in cui si dibatté ferocemente sul tema. Non alludo tanto all’epoca di padre Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955), ma agli anni 1970, quando fece scalpore il saggio fortemente filo-evoluzionistico di Jacques Monod (1910-1976) Il caso e la necessità e quando iniziò a imperversare il neo-malthusianesimo regressista, veicolato soprattutto in Italia dal Club di Roma, un sodalizio di studiosi radicalmente positivisti. Ma anche quando iniziarono i primi dubbi al di fuori dell’ambito credente — dove in Italia, ricordo, reagirono soprattutto monsignor Pier Carlo Landucci (1900-1986) e Giuseppe Sermonti sul dogma pseudo-scientifico darwiniano allora imperante.

Il fenomeno che rilevo è che, a distanza di quarant’anni, l’accanimento radicale e i toni fideistici e apocalittici con il quale studiosi di varie discipline difendono quella che è solo una ipotesi di lavoro limitata alle scienze naturali e ne fanno una sorta di chiave esplicativa dell’intera realtà, materiale e immateriale, non si sono attenuati. Soprattutto che si continua a non affrontare mai le obiezioni sul piano dell’argomentazione, ma solo con pseudo-dogmi: la «modernità» della teoria dell’evoluzione, la sua scientificità apodittica, il consenso universale su di essa. E, di più, non si ricusi di attaccare personalmente, con virulenza, persino nell’onore e nella posizione nell’ambito delle organizzazioni di ricerca, gli studiosi che si pongano su posizioni diverse, soprattutto se si tratta di studiosi cattolici. Un po’ come nel caso del «revisionismo» storiografico, le ragioni della feroce difesa dell’evoluzionismo vanno cercate piuttosto nella granitica difesa di posizioni di potere culturale e di apparato mediatico, ormai ingiustificabili sotto il profilo dei contenuti.

La realtà è che la teoria dell’evoluzione o, meglio, l’evoluzionismo — cioè l’estensione arbitraria della teoria dall’ambito delle scienze a quello della visione del mondo — è una delle basi del materialismo moderno, i cui corollari sono la negazione dell’esistenza di Dio, della creazione, della provvidenza, dell’esistenza e della spiritualità dell’anima. Una concezione che ormai trova la sua «bestia nera» solo nel cattolicesimo e, in parte, nell’ebraismo, mentre, ahimè, trova molto meno resistenza nelle comunità cristiane non cattoliche, per tacere delle altre forme religiose.

Ricordo perfettamente quanti miei compagni di liceo, iscrivendosi dopo la maturità a una qualunque delle facoltà scientifiche milanesi, immediatamente «entrarono in crisi» — come si diceva allora — di fede proprio a causa dell’evoluzionismo materialistico graniticamente professato e ancor più dogmaticamente insegnato in quelle facoltà. Anzi, proprio questa dottrina fece spesso da ponte verso il materialismo dialettico a base socio-politica di Marx ed Engels, sì che il giovane scientista si convertì agevolmente in militante comunista.

Anche in questa vicenda si rileva come siano attivi in sottofondo potenti motori di scristianizzazione culturale, incistati in gangli vitali della società e nelle organizzazioni internazionali, dove viene praticata non solo una operazione di sistematica veicolazione di contenuti pseudo-scientifici volti ad ateizzare i recipienti, ma anche un drastico e agguerrito ostruzionismo contro chi osa discutere i dogmi degli «anti-dogmatici», presunti fan di Galileo Galilei (1564-1642).

 

Nel mondo, le dinamiche sviluppatesi dopo il 1989 e dopo il 2001 continuano il loro iter e delineano uno scenario sempre più distante da quello dell’epoca della Guerra Fredda. Risveglio islamico, terrorismo globale, gurra «asimmetrica» contro l’Occidente, ascesa incontenibile della Cina rossa, ripresa in grande stile del subcontinente indiano, nuove persecuzioni religiose, guerre americane, crescente socialistizzazione, mobilitazione anti-statunitense e cinesizzazione dei Paesi dell’America Latina già flagellati dai cartelli della droga , flussi migratori incontenibili, violenza contro i cristiani, droga dilagante e sempre più sfuggente al controllo dei governi, Africa sempre più abbandonata a se stessa e infiltrata dai capitali «privati» cinesi. Un mondo in cui l’unica superpotenza globale rimasta dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’America, sotto la presidenza di Obama — come documentano i puntuali commenti di Jeff Kuhner che pubblichiamo — sta già organizzando il suo declino e preparandosi a un mondo multipolare, che sta già nascendo nella misura in cui la Russia ricupera il suo ruolo globale e l’India e la Cina stanno traducendo il loro spaventoso dinamismo economico e demografico nel secondo caso, privo di ogni intralcio di natura «democratica» , in potenza militare.

Un mondo post-comunista in cui del comunismo sopravvivono tuttavia ingenti e ingombranti relitti. In queste ultime settimane è rimbalzata nelle cronache la tragedia del popolo cubano che da oltre cinquant’anni deve subire un fatiscente regime vetero-leninista incapace di garantirgli uno standard di vita decente e che, nell’eclisse del vecchio Leader Maximo, il barbudo Fidel Castro Ruz, è capace solo di nascondersi dietro il logoro faccione barbuto del «Che» e di schiacciare senza pudore ogni opposizione.

 

Venendo all’Italia, le elezioni regionali dello scorso 28 e 29 marzo sono suonate a conferma palese di un trend moderato che persiste e si incrementa. La conquista di regioni da anni governate dal centrosinistra; la saldatura orizzontale sotto la stessa maggioranza delle tre maggiori regioni italiane, Piemonte, Lombardia e Veneto — che mettono insieme da sole il 60% del prodotto interno lordo —; lo storno della minaccia che due presidenze di giunta per di più in regioni vitali come il Piemonte e il Lazio — fossero ricoperte da soggetti che si collocano fra i più oltranzisti esponenti del fronte abortistico ed eutanasico italiano; l’inefficacia degli attacchi mediatici e giudiziari al premier e l’inefficacia dei «trabocchetti» da ufficio elettorale, lo spostamento stesso di parte dell’elettorato moderato verso un partito, la Lega, non solo ideologicamente e organizzativamente «forte», ma capace di governare il territorio affrontando con moderazione e relativo buon senso anche problemi spinosi, sono tutti elementi a mio avviso da segnare nella colonna delle attività.

Anche la difesa della vita innocente, nonostante torsioni e astuzie, sfrontate fughe in avanti in cui, come nel caso del preparato abortivo «fai da te» Ru486, il peso di Bruxelles si assomma al potere regionale filo-abortista del centrosinistra — messe in campo dall’avversario, sembra poter svolgersi in uno scenario meno sfavorevole, anche se, nonostante questo, la guardia deve rimanere alta.

La notizia spiacevole sono purtroppo le crepe che si rivelano sempre più numerose all’interno di quello schieramento che della vita dovrebbe essere pregiudiziale fautore e difensore. Alludo a dichiarazioni francamente sconcertanti come quelle dello storico Franco Cardini nell’articolo pubblicato dal quotidiano Europa il 3 aprile scorso, vigilia di Pasqua; a posizioni incondivisibili come quelle espresse dal finiano on. Fabio Granata — «la 194 non si tocca» —; alla disinvoltura che ostentano su questo tema cruciale ma anche su altri temi nevralgici come l’immigrazione esponenti qualificati dell’entourage del Presidente della Camera. Crollato l’impero dell’ideologia comunista, oggi la linea del fronte non corre più tanto fra visioni alternative della politica e della società, ma molto più «in basso», quasi «rasoterra», fra questioni che attengono alla biosfera, cioè hanno valenza bioetica: la partita oggi non si gioca più sul terreno del regime di governo ma su quello, più granulare e difficile, della tutela della vita non nata e della vita al tramonto, dell’educazione, della difesa della famiglia naturale.

 

Et de hoc satis: quanto detto mi pare necessario anche se non sufficiente per comporre un quadro almeno per sommi capi.

In essenza, i fatti ci dicono che la condizione attuale vede senza dubbio una disparità fra le forze del bene e del progresso autentico che va perseguito ininterrottamente sul piano pratico, mentre non deve e non può intaccare l’ambito della verità e dei valori e le forze della negatività e del degrado: ma anche che qualche pur piccolo elemento di conforto esiste e continua a offrirsi.

Da cattolico e da uomo (talora) di buona volontà non posso non menzionare in tale novero quella piccola ma essenziale «stazione radio» rappresentata dal magistero cattolico, in particolare dai torrenti di luce intellettuale e spirituale che il Santo Padre continua a riversare sul suo sempre più pusillus — non in termini di numero ma in termini di aderenza all’insegnamento di Cristo — grex: una sorta di piccola e flebile stazione radio gratuita, sintonizzandosi sulla quale ci s’imbatte in una pausa nel frastuono sgangherato e degradante che ci avvolge, in un’oasi di pace, in una fonte limpida di pensieri e di parole conformi al senso comune e orientati al bene, nonché una guida sicura per attraversare le paludi mefitiche della nostra epoca e vivere con dignità e nella speranza il dramma della nostra condizione umana.

Oscar Sanguinetti