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INDICE DEL N. 2


E D I T O R I A L E
anno I, n. 2, novembre-dicembre 2009

Progettualità e utopia

Quello che da non molto si è chiuso è il primo anno di vita di Cultura&Identità. È senz’altro esagerato parlare di prima annata, in quanto sono usciti solo due numeri, il primo dei quali diffuso, fra l’altro, con notevole ritardo. Ovviamente è del tutto prematuro parlare di echi — a parte una recensione non del tutto benevola, apparsa nella rassegna-stampa della rivista milanese Studi cattolici (1) — e, a maggior ragione, di un anche minimo impatto di quanto pubblicato sul dibattito politico-culturale in atto: la nostra iniziativa non è per sua natura in presa diretta con i fatti ed è altresì talmente disallineata rispetto a tutto un contesto culturale antico e recente da non farci attendere qualcosa di più e di meglio.

Quanto ai più recenti sviluppi della situazione — tralasciando, e non è poca cosa, la politica dei colpi bassi e l’ininterrotto devastante gossip mediatico — mi pare che i fatti autorizzino a parlare di un rafforzamento, piuttosto che di un indebolimento, della prospettiva in cui si colloca l’iniziativa che abbiamo avviato. Che cosa m’induce ad affermarlo? Prima di rispondere mi pare opportuno fare una premessa “di quadro”: a mio avviso — ma anche alla luce del pensiero cattolico conservatore contemporaneo e meno recente —, per più di una evidenza, sono persuaso che il kairos del nostro tempo, ciò che lo rende unico, sia rappresentato dalla condizione di un organismo impiantato molti secoli fa nel nostro Occidente, la civiltà europea di matrice romano-cristiana, la quale è giunta a uno stadio di de-costruzione pressoché completo, a uno stato patologico terminale, causato da una lunga serie di morbi e di aggressioni plurisecolari. Scelgo di situarmi dalla parte dell’organismo aggredito invece che da quella del processo aggressore: altrimenti potrei parlare di “rivoluzione” — e, demestrianamente come “età della rivoluzione” — come dominante, come marker, del nostro tempo. Sono consapevole che non tutti, anche fra i “benpensanti”, condivideranno questo assunto iniziale, ma sono altrettanto persuaso che occorra fare degli autentici equilibrismi ideologici per non accorgersi del venir meno giorno dopo giorno dei presidi più elementari della convivenza civile — dai matrimoni alla moralità pubblica, alla pratica religiosa, alla deontologia, allo stesso mantenimento della parola data — e per valutare in termini di positività la drammatica evoluzione sancita dalla cosiddetta post-modernità. Questa diagnosi di decadimento — che non è frutto di pessimismo, bensì di una osservazione valoriale sì ma “effettuale” del reale — credo rappresenti la discriminante culturale, nonché il punto di partenza di qualunque analisi in prospettiva conservatrice, per cui se non lo si fa proprio, almeno come ipotesi, ogni argomentazione ulteriore si rivela sterile.

Se l’immagine evocata in premessa è vera, è altrettanto vero che svolgimenti come quello descritto — che non è troppo osé assimilare a una lenta marcescenza — avvengono soprattutto al di sotto del piattume della superficie, e che l’avanzare della decomposizione si percepisce solo a tratti, quando ne affiorano i segni e gli epifenomeni più macroscopici.

Fuor di metafora, in una condizione del genere, un po’ in tutti i campi, si capisce che si verifichino ben pochi fatti eclatanti, mentre, al contrario, la cronaca sia ricca di episodi di basso profilo, si moltiplichino le situazioni incerte e instabili, i problemi tendano a prolungarsi indefinitamente, in un logorio e in uno sfilacciamento ininterrotto. E questo quadro instabile, ma incolore, anomico, urta il senso comune e delude l’auspicio dell’uomo della strada — mi verrebbe spontaneo dire dell’“uomo qualunque”, ma non so quali corti circuiti potrei innescare fra i miei “venticinque” lettori —, bisognoso di prospettive nitide e di prese di posizione nette.

Pochi, dunque, in quest’ottica, sono i fatti sul terreno della vita pubblica sui quali vale la pena di soffermarsi.

Fra questi mi sento di rubricare le recenti “nomine” dei vertici politici e diplomatici dell’Unione Europea. Mi si passi un giudizio del tutto epidermico, nonché alquanto ingeneroso che — non volendo indossare il luogo comune andreottiano che a pensar male si fa peccato ma in genere ci si azzecca — spero si riveli del tutto infondato. Ma mi è bastato osservare il look del tutto “anti-eroico”, se non proprio dimesso, degli “eletti” per capire che cosa ci aspetta...

In Italia, invece, pare che il consenso al governo di centrodestra, nonostante le quotidiane e deleterie schermaglie fra i suoi membri e i suoi sostenitori e l’aggressione sempre più audace di alcune frange — per dire il meno — “progressiste” della magistratura, tenga, se non addirittura cresca. La sinistra, al contrario, sta accentuando i segnali di auto-disgregazione, trovando idem sentire e unità solo contro la figura del premier, per esempio in occasione di eventi clamorosi promossi dalle sue componenti più radicali — l’area ex comunista e il gruppo politico di Antonio Di Pietro — come il “No-B Day”, la giornata di lotta indetta contro Silvio Berlusconi nel dicembre del 2009. E dico “auto” di proposito, perché non mi pare che la maggioranza eserciti alcuna pressione per incalzare un avversario ormai davvero alle corde: e non penso si tratti solo di magnanimità...

Altro dato di fatto è che all’interno del “contenitore” berlusconiano, il Pdl, si sono aperte le ostilità in vista di una successione al Cavaliere, data — probabilmente a torto — come non lontana. Si moltiplicano così i progetti politici e di riforma della politica in chiave maggiormente policentrica.

La spinta più forte in questa direzione sembra venire dalla galassia di organismi pre-politici che gravitano intorno ai big player della politica, specialmente da quelli ispirati dal Presidente della Camera, on. Gianfranco Fini, la cui fondazione evidenzia un attivismo febbrile in tutte le direzioni e sforna a getto continuo proposte dall’aspetto apparentemente nuovo, ma più spesso sostanziate da tesi politiche risapute almeno dal tempo di Mazzini. Ciononostante non è insignificante l’audience — benché aperiodica — che tali tesi iniziano a trovare presso gli ambienti più spregiudicati e “creativi” del conglomerato di centrodestra, come fra i “foglianti” di Giuliano Ferrara.

Tutto questo fermento mi pare però non tenga in adeguato conto che i progetti non si fanno a tavolino, né trascurando come si è evoluta, o involuta, la politica dopo il 1989, allorché i partiti hanno perso il loro connotato ideologico — e, nel contempo, il loro carattere di massa e territoriale — e il loro disegno d’imporre al Paese teoremi politici precostituiti, per diventare di nuovo rappresentanze di interessi della società. Il che non vuol dire che l’ideologia sia sparita dalla politica: di essa infatti si sono fatte latrici altre “agenzie”, più legate a organi istituzionali, come la magistratura ordinaria, la Corte Costituzionale e la Presidenza della Repubblica — con il relativo potente background massmediatico —, soprattutto sacralizzando una Carta costituzionale già di suo non poco infarcita di valori di una “metafisica” democratica quanto mai ideologica, ormai ossificata e non più in sintonia con il Paese del terzo millennio. Gli intellettuali predetti sembrano dimenticare che cos’è stato e che cos’è tuttora il nostro Paese. Lo evidenzia in particolare la nonchalance con cui glissano su quelle peculiarità — non ultima una religiosità cristiana “ad alta intensità” — che caratterizzano il Dna della nazione italiana e che fanno di essa un unicum: viene francamente da ridere quando si sente dire “ma in Europa fanno tutti così...”. Mai come oggi torna a riproporsi così quell’antica dicotomia fra “Paese reale” e “Paese legale”, immagine costantemente irrisa dagl’intellettuali progressisti, ma del tutto verace: e si scorda che il “Paese reale” ha dato più e più volte segni di essere allergico a “stilisti” troppo schematici o eccentrici quando si tratta di cucire il suo “abito politico”.

Tuttavia, nonostante l’imperversare di queste “officine” politologiche, si conferma sempre più chiaro che, lo si voglia o no, pur con tutte le riserve sulla persona e sulla personalità del premier, alla fine quando il centrodestra “va alla conta”, quando deve cercare consensi, non può che dire “meno male che Silvio c’è”, perché senza il Cavaliere non va da nessuna parte.

In questo frangente si segnala putroppo ancora una volta l’assenza — e gli assenti, si sa, hanno sempre torto — di posizioni fermamente ancorate a principi conservatori. Forse i politici che le indossano sono troppo oppressi dalla routine legislativa e governativa per trovare il tempo di formulare proposte: mentre è un fatto certo che chi le coltiva in maniera non episodica non ha invece voce sufficiente per farsi sentire.

Eppure non mancano gli stimoli a “pensarla bene” e a produrre buona politica. Per esempio, è apparsa — con lodevole tempestività — presso Garzanti la traduzione dell’importante volume di Christopher Caldwell L’ultima rivoluzione dell’Europa. L’immigrazione, l’Islam e l’Occidente, cui avevo fatto cenno nel numero precedente. Si tratta di oltre trecento pagine di argomenti sostanziali e sostanziosi per impostare una riflessione seria — e tendenzialmente anche bipartisan — sul problema, che sta diventando addirittura lancinante, dell’immigrazione. Ma chi se n’è accorto? Dove sono le recensioni? E gli intellettuali che vogliono fare “futuro” e non “memoria” che lo indossino? E i think tank, i blog, le testate online — e sì che ultimamente si sono moltiplicati esponenzialmente —, i “mastini del Cav.” che diffondano questa valanga di efficaci tesi? Come può la politica alimentarsi alla realtà e non all’ideologia se un contributo di questa portata, pubblicato da uno dei maggiori editori nazionali, viene ignorato? È solo colpa della censura occulta dei “padroni della cultura” o c’è dell’altro?

Che dire poi dei sempre più qualificati e frequenti nonché allarmati interventi in campo civile di esponenti della gerarchia cattolica due esempi li trovate in questo fascicolo , voci che, fondandosi sulla rivelazione ma anche sul senso comune, esprimono e offrono a tutti, anche a chi non crede, autentici tesori di dottrina e di esperienza?

Per quanto riguarda il piccolissimo ruolo che ci siamo ritagliati, continueremo a proporre contributi di valore, su argomenti che forse non saranno sempre i migliori o i più attuali, ma potranno comunque essere utilmente ripresi e usati da chi vorrà lavorare per la rinascita del nostro amato Paese e per un suo futuro in armonia con le radici dell’identità italiana.


Note

(1) Carlo Alessandro Landini, Psicologi & conservatori, in Studi cattolici. Mensile di studi e attualità, anno LIII, n. 585, novembre 2009, pp. 806-807 (p. 807).